LA «FORZA» DEL PREMIER NON È AFFATTO INCONSISTENTE
Il dibattito Le elezioni, la scelta del presidente del Consiglio, il ruolo del Parlamento nel sistema italiano
Caro Direttore, la tesi di fondo dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 21 agosto (Dare un governo al Paese) è che le elezioni «dovrebbero servire a far decidere agli elettori non già da chi vogliono essere rappresentati, bensì soprattutto da chi vogliono essere governati». Quindi, si dovrebbe dire, non tanto a eleggere il Parlamento, ma ad eleggere direttamente il capo dell’esecutivo. Il Parlamento ci sarebbe ancora, ma in esso dovrebbe operare una maggioranza «monocolore», che si riconosca nella guida del Premier, e dunque sia ad esso sostanzialmente soggetta. Vorrebbe dire abbandonare il sistema di governo parlamentare previsto dalla nostra Costituzione, per sostituirlo con un sistema incentrato sull’elezione, per un tempo determinato, di un Premier «onnipotente»; di una «democrazia di investitura», in cui gli elettori sono chiamati solo a designare periodicamente il «capo».
Non sarebbe «presidenzialismo». Quello vero, infatti – nato e tuttora vigente negli Usa – è un sistema di governo «diviso» fra un Presidente eletto direttamente e un Parlamento del tutto indipendente e anzi spesso in conflitto con lui, che delibera le leggi e il bilancio dello Stato. Invece le proposte «riformistiche» nostrane vorrebbero che anche l’attività legislativa (in cui si traduce in larga parte l’indirizzo del Governo) fosse determinata dal capo dell’esecutivo, attraverso una maggioranza parlamentare che ne assicuri il dominio pressoché assoluto e indiscusso fino a nuove elezioni (simul stabunt, simul cadent).
Quando poi si invoca il «modello Westminster» come esempio di un sistema parlamentare in cui di fatto gli elettori scelgono il Premier, si dimentica semplicemente che il suo funzionamento è legato a due variabili essenziali. Da un lato i partiti, che realizzano la mediazione fra società e istituzioni, facendo sì che un’assemblea composta da centinaia
Coordinamento Il Capo dello Stato è un organo non decidente, ma di equilibrio e garanzia
di rappresentanti assuma comportamenti in qualche modo prevedibili. L’altra variabile è un sistema fondamentalmente bipartitico (il partito che prevale nelle elezioni governa, l’altro fa l’opposizione). Se invece si configura un quadro multipolare (come oggi in Italia); e se più in generale è in crisi, come oggi da noi, la capacità dei partiti di tradurre, attraverso il confronto nelle istituzioni, le istanze sociali, le tendenze «riformistiche» sfociano inevitabilmente in una visione di tipo «autocratico» (il famoso «uomo solo al comando»).
Ciò premesso, la presenta- zione che del nostro sistema costituzionale fa Galli della Loggia appare alquanto deformata. Non è vero che il Premier eserciti il suo potere in sostanziale «condominio di fatto» con un Presidente della Repubblica che sarebbe «costituzionalmente molto più forte di lui», potendo anche autorizzare l’iniziativa governativa delle leggi. In realtà questa, nonché i poteri tipicamente esecutivi e amministrativi — e anche il potere di deliberare i decreti legge —spettano al Governo, sotto la direzione del Premier. Il Presidente della Repubblica può esercitare una funzione di «persuasione e di influenza», invitando se del caso il Governo a tener conto di dubbi o di obiezioni, ma chi decide alla fine è il Governo diretto dal Premier.
Non è vero che il Presidente della Repubblica possa da solo sciogliere le Camere: l’atto di scioglimento, come tutti gli atti del Capo dello Stato, è soggetto alla controfirma ministeriale (art. 89), e pochissimi tra questi atti (non di governo) sono rimessi sostanzialmente alla volontà del Presidente. Lo scioglimento delle Camere è considerato da molti studiosi come un atto «duumvirale» (del Presidente e del Governo). In ogni caso sarebbe impensabile che il Presidente pretendesse di sciogliere anticipatamente le Camere in presenza di un Governo e di una maggioranza concordi e intenzionati a proseguire la legislatura.
Non è vero che il Premier sia un debole primus inter pares nell’ambito di un governo col- legiale. In realtà egli «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile» davanti al Parlamento (art. 95), Non è nemmeno vero che il Premier non possa scegliere i Ministri né revocarli. È lui che li propone, anche se il Capo dello Stato può esercitare, e talora ha esercitato, un potere di influenza o di veto informale in proposito. E quanto alla revoca, se un Ministro dissente radicalmente dalla linea deliberata dal Consiglio di Ministri su proposta di un Premier sostenuto dalla maggioranza, le sue dimissioni sono inevitabili (il Ministro della giustizia Mancuso, nel 1995, non si dimise, e venne sostituito dopo un voto di sfiducia individuale da parte del Senato; la Corte costituzionale respinse il suo ricorso).
In definitiva, la «forza» del Premier nel nostro sistema non è affatto inconsistente; e non è contraddetta dall’esistenza di un Capo dello Stato, organo non decidente, ma di equilibrio, di garanzia e di coordinamento fra i poteri. Di fatto, quella forza dipende, oltre che da qualità personali, da fattori politici collegati al sistema dei partiti: e quindi è vero che a lui si chiedono non solo doti di «decisione», ma anche di mediazione, e capacità di confrontarsi e creare convergenze. Ma la democrazia rappresentativa, e anzi la democrazia tout court, è fatta anche, e forse essenzialmente, di questo: non di decisioni solitarie e di guerre permanenti all’ultimo sangue.