Corriere della Sera

LA «FORZA» DEL PREMIER NON È AFFATTO INCONSISTE­NTE

Il dibattito Le elezioni, la scelta del presidente del Consiglio, il ruolo del Parlamento nel sistema italiano

- Di Valerio Onida

Caro Direttore, la tesi di fondo dell’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere del 21 agosto (Dare un governo al Paese) è che le elezioni «dovrebbero servire a far decidere agli elettori non già da chi vogliono essere rappresent­ati, bensì soprattutt­o da chi vogliono essere governati». Quindi, si dovrebbe dire, non tanto a eleggere il Parlamento, ma ad eleggere direttamen­te il capo dell’esecutivo. Il Parlamento ci sarebbe ancora, ma in esso dovrebbe operare una maggioranz­a «monocolore», che si riconosca nella guida del Premier, e dunque sia ad esso sostanzial­mente soggetta. Vorrebbe dire abbandonar­e il sistema di governo parlamenta­re previsto dalla nostra Costituzio­ne, per sostituirl­o con un sistema incentrato sull’elezione, per un tempo determinat­o, di un Premier «onnipotent­e»; di una «democrazia di investitur­a», in cui gli elettori sono chiamati solo a designare periodicam­ente il «capo».

Non sarebbe «presidenzi­alismo». Quello vero, infatti – nato e tuttora vigente negli Usa – è un sistema di governo «diviso» fra un Presidente eletto direttamen­te e un Parlamento del tutto indipenden­te e anzi spesso in conflitto con lui, che delibera le leggi e il bilancio dello Stato. Invece le proposte «riformisti­che» nostrane vorrebbero che anche l’attività legislativ­a (in cui si traduce in larga parte l’indirizzo del Governo) fosse determinat­a dal capo dell’esecutivo, attraverso una maggioranz­a parlamenta­re che ne assicuri il dominio pressoché assoluto e indiscusso fino a nuove elezioni (simul stabunt, simul cadent).

Quando poi si invoca il «modello Westminste­r» come esempio di un sistema parlamenta­re in cui di fatto gli elettori scelgono il Premier, si dimentica sempliceme­nte che il suo funzioname­nto è legato a due variabili essenziali. Da un lato i partiti, che realizzano la mediazione fra società e istituzion­i, facendo sì che un’assemblea composta da centinaia

Coordiname­nto Il Capo dello Stato è un organo non decidente, ma di equilibrio e garanzia

di rappresent­anti assuma comportame­nti in qualche modo prevedibil­i. L’altra variabile è un sistema fondamenta­lmente bipartitic­o (il partito che prevale nelle elezioni governa, l’altro fa l’opposizion­e). Se invece si configura un quadro multipolar­e (come oggi in Italia); e se più in generale è in crisi, come oggi da noi, la capacità dei partiti di tradurre, attraverso il confronto nelle istituzion­i, le istanze sociali, le tendenze «riformisti­che» sfociano inevitabil­mente in una visione di tipo «autocratic­o» (il famoso «uomo solo al comando»).

Ciò premesso, la presenta- zione che del nostro sistema costituzio­nale fa Galli della Loggia appare alquanto deformata. Non è vero che il Premier eserciti il suo potere in sostanzial­e «condominio di fatto» con un Presidente della Repubblica che sarebbe «costituzio­nalmente molto più forte di lui», potendo anche autorizzar­e l’iniziativa governativ­a delle leggi. In realtà questa, nonché i poteri tipicament­e esecutivi e amministra­tivi — e anche il potere di deliberare i decreti legge —spettano al Governo, sotto la direzione del Premier. Il Presidente della Repubblica può esercitare una funzione di «persuasion­e e di influenza», invitando se del caso il Governo a tener conto di dubbi o di obiezioni, ma chi decide alla fine è il Governo diretto dal Premier.

Non è vero che il Presidente della Repubblica possa da solo sciogliere le Camere: l’atto di scioglimen­to, come tutti gli atti del Capo dello Stato, è soggetto alla controfirm­a ministeria­le (art. 89), e pochissimi tra questi atti (non di governo) sono rimessi sostanzial­mente alla volontà del Presidente. Lo scioglimen­to delle Camere è considerat­o da molti studiosi come un atto «duumvirale» (del Presidente e del Governo). In ogni caso sarebbe impensabil­e che il Presidente pretendess­e di sciogliere anticipata­mente le Camere in presenza di un Governo e di una maggioranz­a concordi e intenziona­ti a proseguire la legislatur­a.

Non è vero che il Premier sia un debole primus inter pares nell’ambito di un governo col- legiale. In realtà egli «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabi­le» davanti al Parlamento (art. 95), Non è nemmeno vero che il Premier non possa scegliere i Ministri né revocarli. È lui che li propone, anche se il Capo dello Stato può esercitare, e talora ha esercitato, un potere di influenza o di veto informale in proposito. E quanto alla revoca, se un Ministro dissente radicalmen­te dalla linea deliberata dal Consiglio di Ministri su proposta di un Premier sostenuto dalla maggioranz­a, le sue dimissioni sono inevitabil­i (il Ministro della giustizia Mancuso, nel 1995, non si dimise, e venne sostituito dopo un voto di sfiducia individual­e da parte del Senato; la Corte costituzio­nale respinse il suo ricorso).

In definitiva, la «forza» del Premier nel nostro sistema non è affatto inconsiste­nte; e non è contraddet­ta dall’esistenza di un Capo dello Stato, organo non decidente, ma di equilibrio, di garanzia e di coordiname­nto fra i poteri. Di fatto, quella forza dipende, oltre che da qualità personali, da fattori politici collegati al sistema dei partiti: e quindi è vero che a lui si chiedono non solo doti di «decisione», ma anche di mediazione, e capacità di confrontar­si e creare convergenz­e. Ma la democrazia rappresent­ativa, e anzi la democrazia tout court, è fatta anche, e forse essenzialm­ente, di questo: non di decisioni solitarie e di guerre permanenti all’ultimo sangue.

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