Il no alla violenza di Shaharzad che colora di rosso il fiume Kabul
stata la prima studentessa proveniente da questa terra sfortunata ad aver conseguito un master all’università di Oxford. Ora vive a Kabul, dove due cancelli di acciaio anti-attentati proteggono la sua casa. Shaharzad Akbar, 29 anni, ha fondato il movimento «Afghanistan 1400» che si ripromette di coinvolgere la gioventù nello sforzo collettivo per cancellare violenza e oscurantismo. In gennaio, proprio mentre uno dei suoi migliori amici, il vice governatore di Kandahar Abdul Ali Shamsi, veniva ucciso con una bomba collocata nell’imbottitura di un divano, un rappresentante dei talebani era presente ad un’iniziativa di «Afghanistan 1400». «Ho odiato quell’uomo dal profondo del cuore, perché sapevo che erano loro i responsabili dell’assassinio, ma poi mi sono detta che abbiamo bisogno di mettere fine all’odio», ha raccontato a Der Spiegel.
Questo non vuol dire che Shaharzad sia una pacifista ad oltranza. Dopo quasi sedici anni di guerra il realismo è l’unico punto di vista possibile. Di un «accordo politico che includa elementi dei talebani» ha parlato del resto anche il presidente Trump nel suo recente discorso sul cambio di strategia degli Stati Uniti. E chiaro che questa generazione emergente sa molto bene con quanta fermezza vada combattuto il male. Anche con metodi nuovi. Come l’azione teatrale con cui fu ricostruito in una piazza di Kabul il linciaggio di Farkhunda Malikzada, la donna uccisa nel 2015 perché falsamente accusata di avere bruciato una copia del Corano. Pochi mesi fa, invece, i militanti di «Afghanistan 1400» hanno colorato di rosso il fiume per fare capire alla gente che «la furia assassina deve cessare». Secondo i dati dell’Onu, nella prima metà dell’anno sono stati uccisi 1.662 civili, 463 dei quali bambini. Si tratta di cifre ancora superiori a quelle del passato.
Mai come in questo momento si tratta quindi di interrogarsi sul che fare. La nuova amministrazione americana — in bilico tra i proclami del suo numero uno e la necessità di rispondere all’aggravarsi della situazione — ha annunciato il rafforzamento dell’impegno militare, invertendo la politica di disimpegno decisa da Obama. Mentre le prospettive sul campo sono fortemente incerte, ancora più grandi sono le incognite legate alla diplomazia e alla ricostruzione. «Ho visto nei giorni scorsi in Afghanistan — ha scritto Thomas L. Friedman sul New York Times — gli stessi problemi che hanno minato sempre la stabilità: corruzione governativa, diffidenza tra la popolazione, perversi interventi di Pakistan e Iran». Se tutto questo è vero, bisogna affidarsi anche a Shaharzad e a quelli come lei. «Mettere al centro il futuro è la ragione per cui abbiamo scelto il 1400, che sarà la data iniziale di un nuovo secolo in cui condividere i valori democratici». Il riferimento è al calendario persiano, utilizzato in Afghanistan, che attualmente segna il 1396 e deve essere corretto ogni 141.000 anni. Ma il tempo della speranza è molto più breve.
@Paolo _Lepri