Googlarsi, l’ultima (intelligente?) ossessione
ooglarsi un po’. Anzi, tantissimo. È il risultato di un’indagine di Bank of America, secondo cui l’11% della Generazione Z e il 9% dei Millennial cerca ogni giorno il proprio nome su Google, contro il 5% di Gen X e Baby Boomer. Addirittura, il 57% dei Millennial ammette di farlo di frequente. Si chiama self-googling, autogoogling, egosurfing. È il narcisismo degli anni Duemila. C’è anche una sindrome: googlite, quando googli e ti autogoogli compulsivamente. Jennifer Lawrence, Lena Dunham, che di autogooglarsi ha scritto per Girls. Non sempre giovanissimi. «Se morissi adesso — confessa lo scrittore George Saunders, classe 1958 — continuerei a googlarmi all’inferno». Viaggi su Marte, global warming? Macché. C’interessa soltanto di noi. Già nel 2008 uno studio collegava l’ossessione dell’auto-googlarsi al narcisismo. Ma negli ultimi anni, complice il mondo del lavoro, dove 8 aziende su 10 googlano potenziali dipendenti, la pratica è stata rivalutata. «Google è il tuo nuovo curriculum», titolava Metro.E Forbes: «Auto-googlarsi è solo intelligente». Per Michael Fertik, autore di Reputation Economy, la reputazione online è più importante di denaro e potere, e presto a ciascuno di noi sarà assegnato un rating. «Ricordate la signora che non poté prenotare su Airbnb perché aveva solo 50 amici su Facebook? Coltivare il proprio brand». Giusto. Ma quanti di noi hanno un colloquio ogni tre giorni? Non prendiamoci in giro: è soprattutto il nostro ego che ci spinge a googlarci, prova ne è che se di noi non si parla affatto l’autocompiacimento diventa frustrazione. E depressione, alienazione, ansia. La percezione social è falsata da invidia, giudizi impulsivi, lusinghe e cattiveria. La soluzione? Googlarsi meno, conoscersi, e conoscere, di più.
@CostanzaRdO Mirko Spelta
ha 43 anni, vive e lavora a Milano, dove è contitolare di uno studio legale
● Il 29 agosto esce per Piemme il suo libro «Scusa se ti chiamo stronzo» (sopra la copertina) in cui ha raccolto tutto ciò che ha capito degli uomini e che può servire alle donne per comprenderli meglio hissà perché gli uomini sbagliati capitano tutti a me?». Se avessi un euro per ogni volta che nella vita ho sentito una donna pronunciare una frase del genere, ora potrei permettermi di fare quello che ho sempre sognato: stare tutto il giorno in costume, al mare. Invece eccomi qua, a cercare di capire. Non sono uno psicologo, un sociologo o uno studioso della mente umana. Sono un uomo di 43 anni — e un avvocato, ma questo è secondario — che come qualsiasi altro ha avuto la fortuna (quasi sempre) e la sfortuna (qualche volta) di relazionarsi con il mondo femminile. Ascoltando e imparando dalle mie e dalle altrui esperienze, ho tratto alcune considerazioni. Capirsi è la parola chiave, il vero segreto della longevità della coppia felice. E visto che, se aspettiamo che siano gli uomini (me compreso) a capire le donne allora buonanotte ai suonatori, quello che possiamo fare è cercare di spiegare senza mezzi termini alle donne come sono fatti questi benedetti uomini.
Un uomo è semplicemente un uomo e va preso così com’è. Non è il principe azzurro, non è il cavaliere senza macchia che vi capisce al primo sguardo. Anche quello più sveglio, non sarà mai la materializzazione di quell’ideale che ogni donna ha creato nella propria testa. Non ne sarà mai all’altezza. Più di una volta ho sentito dire, di solito da donne vicino ai 40: «Ho smesso da un pezzo di cercare l’uomo giusto». Paradossalmente, le donne che hanno smesso di cercare l’uomo giusto sono proprio quelle che l’hanno trovato, sono quelle che dal sogno sono scese sulla terra. Certo, non tutti sono uguali, qualcuno vi assomiglierà di più e qualcun altro meno, qualcuno vi capirà di più e qualcun altro meno, qualcuno vi stimolerà di più e moltissimi altri meno. Ma nessuno sarà mai perfetto. Questo non giustifica la generale sfiducia nei rapporti di coppia, semplicemente perché di uomini pronti a guardarvi come se non ci fossero altre donne al mondo ce n’è sempre uno più vicino di quanto pensiate. Questi uomini, a differenza dell’uomo giusto, esistono eccome, e sono quelli veramente innamorati.
Gli uomini sono esseri semplici, semplicissimi. Un uomo non ha un «modo» in cui ti guarda: o ti guarda o non ti guarda. Un ragionamento tipo: «Lui mi ha chiesto il numero di telefono e io gliel’ho dato, ma forse troppo presto o forse troppo tardi, forse sono stata troppo aggressiva e gli ho messo paura o forse sono stata troppo restia, avrà capito che non sono interessata e quindi non mi chiama… e adesso cosa faccio? Se lo chiamo sembro sfacciata; allora aspetto. E se non chiama? Perché non chiama? Oddio, panico!» non farà mai parte della mente di un maschio. O vi chiama o non vi chiama. Punto.
La semplicità degli uomini si riflette soprattutto sul fronte della comunicazione. Le donne comunicano molto bene sul piano verbale e non verbale e hanno una intelligenza emotiva enormemente più sviluppata di quella del maschio. Sta di fatto che se raccontiamo una bugia ad una donna e lei ci crede, o aveva già deciso di crederci oppure, in cuor suo, ci ha già perdonato. Se no, una donna non la freghi. L’uomo invece ha una capacità di decodificare i gesti, le espressioni del viso, i toni della voce estremamente più limitata. Comprende molto meglio le parole di quanto non comprenda i gesti o le espressioni del volto ed è decisamente più interessato al messaggio in sé che al modo di veicolarlo. Ho sentito donne interrogarsi a lungo su cosa potessero significare i tre puntini di sospensione alla fine di un messaggio o su «cosa avrà voluto dirmi». Ebbene, la vera verità è: niente. Quello che vuole dire, di solito, è esattamente quello che ha detto e solo quello che ha detto, niente di più e niente di meno.
Uomini e donne parlano in modo diverso, pensano e capiscono in modo diverso. La stessa cosa, la stessa situazione, persino la stessa frase se esce dalla bocca di un uomo o di una donna spesso ha due significati differenti. Se una donna dice a un’altra: «Ma che belle scarpe!», la frase completa è: «Ma che belle scarpe, dove le hai comprate, le vogliono anch’io». Se un uomo dice a una donna: «Ma che belle scarpe!», il più delle volte la frase completa è: «Ma che belle scarpe, staresti bene solo con quelle addosso».
Questa differenza può creare notevolissimi problemi di comprensione reciproca, perché se volete davvero farvi capire da un uomo dovete mettervi in testa che non siete davanti a un’altra donna, ma a un soggetto diverso: quasi come se foste davanti a uno straniero che parla un’altra
Comunicazione Se raccontiamo una bugia ad una donna e lei ci crede, o aveva già deciso di crederci oppure, in cuor suo, ci ha già perdonato «Ma che belle scarpe!»