«Gioco, complicità» Il sadomasochismo raccontato da un «Master»
rustini, manette, occhi bendati. Il famigerato «contratto», quello in cui vengono fissate regole e doveri dei due partner. O meglio: di Slave e Master, lo/a schiavo/a e il/la padrone/a. Così, nell’immaginario collettivo (forgiato anche dal successo globale della trilogia delle «cinquanta sfumature», della scrittrice inglese E. L. James) si sviluppa una relazione sadomasochista. La realtà, però, non è così semplice da definire e non passa per forza da corde, catene e «camere del piacere». Anzi, questi elementi potrebbe non contemplarli proprio. Secondo Stephen, 51enne che ha da sempre relazioni in cui riveste il ruolo del Master, le basi di una relazione sm sono ben altre: la voce innanzitutto, poi lo sguardo. «Il sadomasochismo è prima di tutto un gioco di corrispondenze sottili: il resto è messinscena», racconta sulla rubrica di oggi di #sessoeamore (la trovate online all’indirizzo 27esimaora.corriere.it/ sessoeamore). Ad essere necessari ed essenziali non sono né le manette né i contratti, ma «dialogo e complicità». Anche perché, a forza di andare oltre insieme, può capitare che i ruoli cambino e il dominatore diventi dominato. A Stephen è successo durante una recente relazione: «Lei voleva di più, sempre di più. Per me è scattata la consapevolezza della mia sottomissione alla grandiosità della sua voluttà. Mi sono ridotto ad animale, a oggetto di piacere». La storia, poi, è finita. Ma lo ha cambiato nel profondo: «Ho capito ciò che sono. Sono un feticista. Sono un voyeur. Sono un sadico. Sono un masochista. E anche nulla di tutto ciò. Sono un uomo che per amore non si fa problemi per nulla — scrive Stephen —, nemmeno delle cose più turpi ed estreme. L’amore per me è anche distruzione di tutto, regole comprese. Se si sopravvive, in un modo o nell’altro, si vince».
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