Il delirio della coppia assassina: l’unico scopo è il delitto perfetto
ssassini per divertimento». Così l’opinione pubblica venne definendo due giovanissimi ebrei multimilionari, un po’ dandy e un po’ primi della classe, che il 21 maggio 1924 uccisero senza altra ragione che l’assenza di qualunque motivo o ragione uno studentello di quattordici anni. Si chiamava Paulie Kessler, lo avevano intercettato mentre tornava a casa da scuola, lo avevano caricato con un pretesto giocoso su un’automobile presa a nolo e una volta raggiunta una località appartata lo avevano finito colpendolo più volte con uno scalpello. L’assenza d’un movente era la garanzia dei due giovanotti, nel mentre compiere un «delitto perfetto» (commisero viceversa molte grossolane distrazioni che finirono col denunciarli alla polizia) era il loro presuntuoso obiettivo.
Viziati entrambi da un brillante percorso di studi, stanchi di un’esistenza troppo comoda avevano un solo obiettivo: essere primi tra i primi. Quell’assurdo e spietato omicidio doveva rappresentare una tappa d’avvicinamento alla vetta. Era d’altronde su giovani come loro, annoiati dei propri privilegi, che «l’atto gratuito» con il suo disprezzo di ogni conformismo in nome dell’eccentricità esercitava maggiormente la propria seduzione.
L’omicidio come opera d’arte
Tutto, nella realistica e appassionata ricostruzione dei fatti proposta da Meyer Levin nelle 580 pagine di Compulsion (Adelphi), adesso nell’accurata traduzione italiana di Gianni Pannofino, ha inizio in un’aula universitaria. Un professore di nome McKinnon, tenendo un’uggiosa lezione di storia del diritto, aveva parlato di Delitto e castigo ripetendo le solite ovvietà. Nulla che potesse meritare una polemica. Da un banco in fondo all’aula però il diciottenne Judd Steiner, il più intelligente e motivato dei due futuri autori di quello che la stampa dell’epoca contribuì col suo interessamento persino morboso a definire «il delitto del secolo», avvertì il prepotente bisogno di replicare.«Che cosa era Raskolnikov se non un fragile sentimentalista, imbottito di stupidaggini morali e religiose? Che cos’era il suo delitto se non un misero tentativo di furto, motivato dalla sua spaventosa povertà?». E più avanti ecco Steiner concludere: «Quello di Raskolnikov era soltanto un delitto con un movente, cioè il bisogno di denaro... Per essere al di sopra e al di là della legge, l’autore (d’un omicidio) non deve essere spinto dal bisogno né da altri moventi emotivi tipicamente umani quali la lussuria, l’odio o l’avidità». Solo cosi «il delitto è il gesto di un essere assolutamente libero, di un superuomo».
Parole che, alla luce di quanto sarebbe accaduto di lì a non molto, cioé l’omicidio del povero Paulie Kessler, valevano una dichiarazione di intenti all’ombra d’un nietzschianesimo molto mal digerito.
Il cronista e lo scrittore
Levin, l’autore di Compulsion, era pressoché coetaneo di Judd Steiner e di Artie Straus, i due assassini, che nella realtà si chiamavano Nathan Leopold e Richard Loeb. Come loro Levin era ebreo, come loro era studente all’Università di Chicago. A differenza loro però si manteneva agli studi facendo il cronista al «Chicago Daily News». Proprio in questa veste seguirà «il delitto del secolo» dalle prime indagini alla fase processuale accompagnata da veri e propri disordini nei giorni che precedettero la sentenza. La tesi di chi pensava che l’ergastolo e il carcere duro dovessero essere la pena per quei due sciagurati veniva energicamente contestata dai fautori dell’impiccagione. Il Ku Klux Klan, approfittandone per giocare la carta dell’antisemitismo suggerita dall’origine ebraica dei colpevoli, darà fuoco a una croce di legno davanti alle finestre dell’avvocato difensore di Judd e Artie.
L’animo dell’autore
Sarà lui stesso a chiarirlo quando, all’inizio degli anni Cinquanta, all’incirca tre decenni dopo il delitto, tornando sui suoi ricordi e appunti di cronista scriverà questo «raccontone» che si vuole anticipi o abbia fatto da staffetta a un genere letterario ormai alla moda. Quel romanzo-verità che avrebbe avuto la sua definitiva affermazione con A sangue freddo, il capolavoro di Truman Capote.
«L’omicidio — annoterà Levin — mi si veniva presentando come una personale lezione di morale, in quanto i due criminali erano, come me ebrei e miei coetanei. Era inevitabile, tuttavia, che il delitto mi apparisse come un simbolo. Io, il ragazzino del West Side, avevo orientato la mia precoce energia verso il successo. Loro, i ricchi ragazzi del South Side, avevano impiegato quella stessa qualità in modo distruttivo». Inaccettabilmente capriccioso.
Una coppia sciagurata
Che cosa univa anche ma non solo nel delinquere Judd e Artie? Si possono fare solo delle supposizioni. Non trascurerei degli oscuri «complessi» sociali: i loro padri e familiari avevano fatto la grana, cosa del tutto nomale nell’America di quei tempi, con attività non proprio chic. Non ultima forse l’usura. È possibile che a innervosire mettendo loro una fretta dannata di realizzarsi fossero i successi dei loro fratelli maggiori spinti alla ribalta della storia da un’etichetta che più efficace non avrebbe potuto essere: «generazione perduta». Fatto sta che sentendosi paragonare ai personaggi di Fitzgerald con animo competitivo Judd replicò: «Spero proprio di non assomigliare a quegli immaturi che fanno gli sbruffoni dopo il primo sorso di gin».
Sulla natura certamente morbosa del rapporto di Steiner e Straus, all’epoca del processo che li vide da ultimo condannati al carcere a vita, si fecero molte congetture. I due si limitavano a concedersi, fra una chiacchiera e l’altra, dei giochini un po’ sudici e osé? Intrattenevano viceversa una vera e propria relazione? La verità, a riguardo, non si seppe mai. Certo Judd e Artie si influenzarono reciprocamente. Li legava un’inquietante dipendenza intellettuale e morale. I modi in cui veniva esercitandosi trovano in Compulsion una testimonianza tanto più responsabile perché restia alle facili interpretazioni. Quanto non fu possibile provare nel corso del processo Levin lo consegna giustamente a quel rispettoso riserbo cui hanno diritto anche i dannati.