IL CORPO SFIDANTE
DA ASCOLTARE PIÙ CHE DA VEDERE COSÌ LA DANZA HA VALORIZZATO LE IMPERFEZIONI E LA DISABILITÀ
L’appuntamento Dal 30 agosto a Rovereto torna «Oriente Occidente». La visione eclettica del festival si declina anche in un nuovo linguaggio artistico che non teme la mancanza. E, come fecero maestre quali Bausch, allarga i confini fisici
Quando la Candoco arrivò in Italia per la prima volta, vent’anni fa, scosse dalle fondamenta l’abitudine consolidata negli spettatori (ma anche nella critica) di considerare la danza come l’altare della perfezione fisica, un vivaio di corpi giovani e armoniosamente proporzionati, dalle inesauribili capacità atletiche. Fondata nel 1991 nella cittadina inglese di Stanmore, a nord di Londra, da Celeste Dandeker e Adam Benjamin (lei danzatrice professionista costretta su una sedia a rotelle da una lesione spinale), la compagnia britannica sventolava nel proprio nome Candoco un manifesto più politico che estetico in un’Europa ancora in ostaggio delle barriere architettoniche: cambiare e reinventare la percezione dell’abilità del corpo, affiancando danzatori disabili e no, per fare arte, lontano da qualsiasi obiettivo terapeutico.
La rivendicazione del «si può fare», oltre i limiti non solo fisici, ma psicologici, intellettuali, artistici e sociali, aveva la forza di una provocazione: il front man del gruppo era un Ariele shakespeariano senza gambe che danzava poggiandosi su braccia possenti come ali, un gigante di orgoglio e di forza.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti della danza e tra i coreografi contemporanei è stata gara nel coinvolgere, nei propri spettacoli, ballerini disabili. Nel frattempo la Candoco ha superato se stessa e, invece di chiudersi in una scena «off» alternativa, ha richiamato coreografi interessati a esplorare le potenzialità del corpo, acquisendo nel proprio repertorio veri capisaldi della coreografia mondiale.
«Oriente e Occidente» ospita un esempio di questo orgoglio bifronte: il 9 settembre all’Auditorium Melotti, la Candoco presenterà in prima assoluta «Face in», ode alla vita della coreografa israeliana Yasmeen Godder, e «Set and Reset», celebre pezzo della compianta Trisha Brown creato nel 1983. Lo spettacolo sarà anticipato da un laboratorio di tre giorni condotto da due danzatori della Candoco: Tanja Erhart (laureata in antropologia culturale, le è stata amputata una gamba all’età di sei anni) e Adam Gain.
La visita del gruppo britannico a Rovereto si inserisce nella sezione dedicata alla danza inclusiva dallo storico festival che rappresenta l’Italia nel progetto europeo «Moving beyond Inclusion» insieme a Regno Unito, Germania, Croazia, Svezia e Svizzera. Il confronto con artisti disabili (Aristide Rontini, Giuseppe Comuniello, Giacomo Curti) è al centro di «Bad Lambs» (Agnelli cattivi), il lavoro di Balletto Civile guidato da Michela Lucenti, in scena il 31 agosto all’Auditorium Melotti; coprodotto dal festival, indaga, attraverso una partitura fisica, il senso della perdita e l’accettazione di un’ardua trasformazione imposta dalla vita. Gli stessi anni Novanta che hanno tenuto a battesimo i Candoco, hanno cullato, nella danza, la nascita di una nuova consapevolezza del corpo, sensibile alla diversità.
Prima di tutto anagrafica: due maestri assoluti, Jirí Kylián e Pina Bausch, hanno esteso il diapason dell’età danzabile. Kylián, che fu direttore artistico del Nederlands Dans Theater, creò nel 1992 l’NDT 3, un gruppo, oggi purtroppo estinto, per danzatori over 40 (dopo aver dato vita alla junior company NDT2), sul presupposto che in ballerini dotati «ci sono modalità espressive fisiche e possibilità infinite che si dispiegano fino alla morte», mentre la Bausch modellò un suo lavoro storico del 1978, «Kontakthof», su un gruppo di anziani over 65 non professionisti (la seconda versione debuttò nel febbraio 2000), cui seguì nel 2008 una terza versione per adolescenti tra i 14 e i 18 anni completamente digiuni di danza.
E così, quel vibrante pezzo di Tanztheater che raccontava il doloroso incontro-scontro tra i sessi impattò con corpi imperfetti, ventri gonfi, gambe varicose e spalle infossate dalla vita per poi abbracciare silhouette acerbe, goffe perché inesperte, agitate dall’inquietudine della pubertà. In ossequio a un’idea di corpo non solo da vedere, ma soprattutto da ascoltare, nella sua umanità più profonda.
Compagnie come la Candoco hanno reso omaggio a un corpo più umano
Una scelta che ha pure superato se stessa, non chiudendosi in una scena alternativa