La rivincita di Kesha
Prima nelle classifiche americane dopo una lunga assenza Accuse di violenza al produttore e problemi alimentari
La cantante Usa impegnata in una dura battaglia legale. «La mia vita dentro una tempesta»
«Volevo un disco che si chiamasse Rainbow perché dopo la tempesta arriva l’arcobaleno. E mi sembra proprio che la mia vita sia passata dentro una tempesta». La tempesta che ha investito Kesha, 30enne popstar americana, risponde al nome di Dr. Luke. Non è una di quelle invenzioni del fastidioso marketing meteorologico ma una persona in carne e ossa. È il produttore che l’ha scoperta nel 2005, messa sotto contratto e lanciata nel 2010 con «Tik Tok», hit da 13 milioni di download. Ma è anche l’incubo della ragazza: nel 2014 Kesha ha denunciato Lukasz Gottwald, questo il vero nome, accusandolo di aver abusato di lei per anni «sessualmente, fisicamente, emotivamente e verbalmente». Lui ha negato ogni accusa e risposto con una causa per diffamazione.
La causa, non ancora risolta, ha fermato la carriera della cantante. I contratti che aveva firmato da ragazzina la blindavano alle decisioni di Dr. Luke. Nonostante una campagna web a suo sostegno che ha coinvolto anche Taylor Swift, l’anno scorso la prima sentenza del tribunale non l’ha liberata dagli obblighi, pur concedendole il permesso di fare musica senza il controllo diretto del produttore.
Così Kesha ha potuto pubblicare il suo terzo album. Con tanta paura di essere stata abbandonata dai fan dopo quasi cinque anni di silenzio artistico. E invece «Rainbow», uscito ieri in Italia, è già arrivato al numero 1 della classifica americana. Una rivincita. Anche se l’ombra di Dr. Luke non è sparita. Il New York Times lascia intendere che il produttore abbia ancora un ritorno economico importante sui guadagni della star. La tempesta ha lasciato segni sia fisici che psicologici. «Ero in una situazione buia. Ero sola e impaurita in rehab per un disordine alimentare che era ormai fuori controllo», ha ricordato lei scrivendo a Refinery 29, sito di lifestyle. E in quel momento è nata la canzone che dà il titolo al disco. «Non potevo lavorare o usare nulla di tecnologico. Li ho pregati di farmi avere una tastiera e ho scritto quel brano», ha raccontato. La ragazza è cambiata. E a sottolineare che c’è una nuova Kesha se ne andato anche il simbolo del dollaro che c’era al posto della «S». «Ho deciso di fare a meno del mio cinico e autocritico atteggiamento alla “chissenefrega” e il nickname su Twitter @keshasuxx (Kesha fa schifo). Voglio essere genuina al 100%, vulnerabile e onesta nella musica che faccio». Non è più la tamarra e volgare ragazzaccia di «Tik Tok». Che scalava le classifiche con hit fra il pop e la dance. Anche lo stile musicale ha cambiato direzione. «Rainbow» è un disco suonato con poche diavolerie digitali, fra country e folk e con gli Eagles of Death Metal (la rockband del Bataclan) e la regina del country Dolly Parton fra gli ospiti. «Questo album suona come la musica che ascolto. Mi piace quello che ho fatto in passato, ma rido pensando a quando, dopo un’esibizione a un festival edm/dance, tornavo sul tour bus e ascoltavo Iggy Pop, Rolling Stones, Beach Boys, T Rex, Dolly Parton, James Brown, Beatles», ha confessato a Rolling Stone.
I testi di «Rainbow» lasciano filtrare quello che ha passato. Sin da quella «Bastards» che apre la scaletta. «Non lasciare che quei bastardi ti buttino giù». Nessun nome, ma non è difficile immaginare chi sia il nemico.
Non è solo piangersi addosso. Ci sono anche momenti dove escono la rivincita e l’autostima. «Woman» è un pezzo dall’anima funky (grazie ai fiati dei Dap-Kings) sulla forza delle donne. «Sono sempre stata una femminista ma per molto tempo mi sono sentita una ragazzina che cercava di capire le cose. Adesso sento la forza, lo splendore e la potenza dell’essere femminile. Abbiamo in mano le chiavi dell’umanità e siamo noi a decidere se popolare la Terra o no e con chi farlo. È stato bello scriverla con due uomini, rafforza il concetto di quanto loro possano essere di sostegno alle donne e al femminismo», ha detto la ragazza che ha anche manifestato contro la misoginia di Trump. Tutto in una frase? Quella di «Learn to Let Go»: «Sono stata all’inferno e sono tornata».