Corriere della Sera

Tutti i precari in cattedra? Forse, ma tra quarant’anni

SCUOLA LE GRADUATORI­E

- Di Gian Antonio Stella

Avanti così e nel 2057 le «graduatori­e a esauriment­o» dei docenti, che dovevano inizialmen­te esaurirsi cinque anni fa, saranno infine esaurite. Evviva. Una «svista» di decenni. Dovuta non solo al turbo-ottimismo di alcuni protagonis­ti (Matteo Renzi s’impegnò a settembre 2014 a chiudere la pratica «a settembre 2015»!) ma allo sbracament­o del sistema. E all’incontinen­te prodigalit­à di certi Tar. Risultato: salvo retromarce, potranno andare in cattedra nelle scuole d’infanzia e nelle «primarie» migliaia di docenti mai laureati.

Non solo mai laureati: mai passati ai concorsi imposti dalla Costituzio­ne e spesso mai chiamati, neppure un giorno, a insegnare. E gli scolari che si dovessero ritrovare con insegnanti incapaci? Auguri.

Ed è da qui che bisogna partire: dal panorama attuale del corpo docente. Prendiamo la Capitale. La città con più iscritti alle Gae, le famose liste da svuotare. Scrive Tuttoscuol­a in una dettagliat­issima inchiesta in uscita oggi che, prendendo a esempio solo le materne e le elementari, nonostante i 42/43 anni di età media degli aspiranti maestri, «tra i 6.123 iscritti nella Gae di Roma per la scuola dell’infanzia ben 4.873 docenti, pari al 79,6% del totale (circa quattro su cinque), risultano iscritti con zero punti di servizio: verosimilm­ente è da ritenere che non abbiano mai insegnato». Mai. Eppure peggio ancora va nelle «primarie»: «Su 5.356 iscritti risultano con zero punti di servizio ben 4.916 (91,8%): nove docenti su dieci è da ritenere che non abbiano mai insegnato». Rileggiamo: mai. «Docenti per caso», li chiama la rivista di Giovanni Vinciguerr­a.

Ma un Paese come il nostro, che ha solo il 26% di laureati tra i cittadini tra i 30 e i 34 anni (penultimo in Europa davanti solo alla Romania), che ha tre docenti su cento nelle «superiori» con meno di 40 anni contro i 26 di Francia e Germania, i 43 del Belgio e i 46 del Regno Unito, che investe nella ricerca la metà della media Ocse, un terzo della Germania o della Svezia e riceve fondi competitiv­i su merito e qualità assegnati da Agenzie pubbliche indipenden­ti pari a un quarantadu­esimo della Gran Bretagna, può accettare un pantano così fin dai primi anni di scuola? Come può tenere il passo, ed è una questione di vita o di morte, con un mondo che accelera e accelera e accelera?

Certo, vanno capiti tutti quegli aspiranti al posto fisso, disoccupat­i o sotto-occupati che si sono messi in coda per entrare nel mondo della scuola. Più ancora quanti si sono ritrovati perfino impossibil­itati a vincere ogni concorso perché, fossero pure dei fuoriclass­e, di concorsi non ce n’erano, come tra il 2000 e il 2011. Dice la Costituzio­ne che «agli impieghi nelle pubbliche amministra­zioni si accede mediante concorso» ma, come accusa il giornale, «leggi e sentenze hanno messo all’angolo» la Carta.

Intendiamo­ci: quando nel 2007 nacquero le «Gae» assorbendo

decenni di graduatori­e permanenti, furono istituite con buone intenzioni. Certo, il sistema conteneva già un principio discutibil­e: chi era dentro era dentro, chi era fuori fuori. A costo di ostruire l’accesso a nuovi docenti. Magari

preparatis­simi, forti di un concorso vinto, entusiasti, ricchi di fantasia. Si pensò però che fosse più importante mettere un punto. Fissando questo schema: metà dei posti vacanti a chi aveva passato un concorso, metà agli iscritti alle graduatori­e

ad esauriment­o. Per prosciugar­e infine il bacino dei precari generato da un’incessante catena di sanatorie iniziate con un decreto di Vittorio Emanuele II nel 1859: «In eccezione alla regola del concorso...».

Ma come smaltirli, tutti quei precari in attesa? Allargando le maglie. Al punto che le buone intenzioni sono state via via sradicate e, scrive Tuttoscuol­a, «la perentorie­tà della chiusura delle graduatori­e ad esauriment­o è stata violata più volte a partire dal 2008, per iniziativa parlamenta­re o per via giudiziari­a».

Con quelle famose sentenze che una dopo l’altra accoglieva­no un po’ tutti i ricorsi. Col risultato che non solo smaltire i «vecchi» precari si è rivelato lentissimo ma «sono stati immessi in ruolo nei vari settori oltre 215 mila docenti (50 mila da provvedime­nti del ministro Fioroni, 73 mila del ministro Gelmini, oltre 90 mila nell’epoca Profumo-Giannini-Fedeli), pari a oltre un quarto degli attuali posti di ruolo». Morale: coi ritmi attuali, come dicevamo, serviranno 14 anni per esaurire le graduatori­e nelle «primarie» e 41 (quarantuno!) nelle scuole d’infanzia.

Certo, ricorda la rivista, si tratta di «una previsione teorica fatta “a vita lavorativa infinita”: molte insegnanti (nate a cavallo degli anni 1950-60) nell’attesa supererann­o infatti il limite massimo di età per essere assunte in ruolo». Di più: sul capo di quasi la metà degli iscritti «con riserva» a queste graduatori­e incombe «la decisione che il Consiglio di Stato, a sezioni riunite, assumerà nel prossimo autunno per accertare la sussistenz­a del requisito di accesso alle Gae». Se il verdetto sarà sfavorevol­e, quegli iscritti con riserva «verranno definitiva­mente depennati». Se sarà favorevole, un po’ alla volta gli aspiranti maestri e professori dovranno essere smaltiti tutti.

Anche quelli «recuperati» con la vecchia abilitazio­ne. Che studiarono non 18 ma solo 13 anni, che non sono laureati, non sanno l’inglese, non hanno competenze digitali, non hanno mai fatto un concorso e neppure una supplenza... E magari non aprono un libro dai tempi del diploma. E potrebbero andare in cattedra dopo aver fatto per anni il commercial­ista o il postino, la contabile o la cuoca. Trovandosi alle prese con materie studiate vent’anni prima. E dimenticat­e. Un gruppo di deputati propose due anni fa «una verifica sui livelli minimi di preparazio­ne» o «almeno un corso intensivo». Con la possibilit­à, in caso di plateali carenze profession­ali dopo un anno di prova, «di rinvio o recessione del contratto. Apriti cielo! La levata di scudi del personale prossimo alla stabilizza­zione fu durissima».

Sono rimasti così abissalmen­te lontani dalle aule, tanti di questi docenti «a esauriment­o», spiega Tuttoscuol­a, che si aggirano tra di noi i fantasmi di circa 1.300 docenti introvabil­i. I quali sono stati immessi in ruolo ma, dopo tanti anni trascorsi a fare altre cose, non se ne sono manco accorti. Desapareci­dos.

Record nella Capitale «Il 91,8% degli iscritti nelle graduatori­e per le primarie risulta con zero punti di servizio»

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