Cosa resterà di questa lunga calda estate
Il selfie «programmatico» di Berlusconi, i morti di Barcellona, gli scontri negli Usa Un bimbo salvato dalle macerie a Ischia, l’ultima corsa di Bolt e il caso migranti Quello che ci resterà dentro di questi mesi
Il tormentone canoro di questa estate che finisce si intitola «L’esercito del selfie» («ci si abbronza con l’iPhone»), e infatti attraverso un selfie, appena uscito dalla clinica del salutismo miracoloso di Merano, Silvio Berlusconi ha voluto mandare il suo messaggio estivo alla Nazione.
Più snello, più in forma, più sorridente, più tonico, più purificato: questo era il senso di quella foto. Che poi conteneva un sottotesto che suona più o meno: sono tornato, sono pronto per la prossima campagna elettorale, guardate bene con chi avrete a che fare, chi mi dava per finito sarà costretto a ricredersi. L’immagine fissa una direzione, riproduce attraverso il linguaggio dei volti, delle posture, delle interazioni tra i protagonisti una chiave interpretativa per decifrare quello che accade e quello che potrebbe accadere.
Le immagini, qui ne abbiamo scelte dieci tra le più eloquenti e significative, ci dicono non solo quello che è successo, gli umori che ci portiamo dentro, le paure, le speranze, gli orrori che nel ritorno alla normalità raccontano di un periodo denso, molto lontano dalla coazione alla spensieratezza che vorremmo imporci nella pausa dell’estate. Che pausa non è mai, malgrado le aspettative, i desideri di fuga, le esigenze umanissime ma sempre frustrate di una tregua.
La realtà del fanatismo
Quei corpi accasciati ed esanimi sulla Rambla di Barcellona, per esempio, immagini inquietanti, cruente, angosciose e che infatti molti avrebbero voluto cancellare rifiutando di esibirle e di pubblicarle nella loro irredimibile crudezza, appartengono nella maggior parte dei casi a persone che volevano vivere quella tregua in una città aperta, cosmopolita, piena di echi e simboli di vita e vitalità, ma gli assassini con il loro furgone hanno inseguito quelle persone per sterminarle e per dire che nella guerra santa permanente e spietata non c’è spazio per alcuna tregua, che la realtà del fanatismo omicida e stragista avrà sempre il sopravvento, che il terrorismo non va in vacanza, non si concede requie, non placa la sete di sangue che lo assilla. E anche il terremoto di Ischia ci trasmette un senso di persecuzione del destino, di insicurezza, di fragilità, ma ogni volta l’eroismo e la dedizione di chi scava tra le macerie per salvare vite umane intrappolate e sepolte ci riempie di stupore e di orgoglio: e quella serietà, quello spirito di sacrificio, quell’attenzione meticolosa nell’opera di salvataggio viene rappresentata da una fotografia emotivamente sconvolgente, quasi a richiamare, è stato detto, un’atmosfera alla Caravaggio, stavolta ripresa nell’istante del suo farsi, con gli uomini che sembrano in posa ma sono semplicemente immersi nella realtà del-
L’immagine fissa una direzione, riproduce con il linguaggio dei volti, delle posture, delle interazioni tra i protagonisti una chiave per decifrare ciò che accade La stagione estiva non è mai una pausa, malgrado le nostre aspettative, i desideri di fuga, le esigenze umanissime, ma sempre frustrate, di una tregua
la tragedia e della distruzione in cui il corpo di un bambino estratto dagli abissi offre una luce nelle tenebre del tutto inaspettata.
E c’era però da aspettarsi la marcia razzista a Charlottesville nello Stato americano della Virginia, gli energumeni del Ku Klux Klan («odio i nazisti dell’Illinois», era la profetica e meravigliosa battuta di John Belushi) che adesso, inspiegabilmente, vengono ribattezzati «suprematisti bianchi», che suona un po’ eufemistico, se non addirittura banalizzante, mentre non è banale l’odio di razza di chi ha sfilato per le strade nemmeno fosse in un set di «Mississippi Burning» o uno di quei film in cui la segregazione razziale mostra il suo volto più crudele e disgustoso.
Non è banale perché è terribilmente reale, uno strato di veleno che scorre e ribolle ancora sotto la superficie della rispettabilità.
La storia non va in vacanza
Mentre non hanno nulla di rispettabile i pro- tagonisti dell’estate cafona che imbrattano, deturpano, calpestano città e centri storici dell’Italia lasciata in balia dei vandali e dei cialtroni che si immortalano mentre provano ridicoli tuffi dal ponte di Calatrava a Venezia. E non hanno nulla di rispettabile quelli che vengono chiamati piromani, ma che non hanno la mania del fuoco e appiccano incendi, come quello che stava per inghiottire Messina assediata dalle fiamme, per interessi loschi, approfittando dell’incuria, alimentando una stagione di distruzione, un’estate dei roghi che ha angosciato territori e popolazioni lasciate a secco, vulnerabili, terrorizzate anche.
La storia, del resto, non va in vacanza. Le immagini sconvolgenti dello sgombero di profughi e rifugiati (e anche non rifugiati) a Roma raccontano l’asprezza di un fenomeno immane che dimostriamo di saper affrontare solo con improvvisazione, alla cieca, e con una certa brutalità, come se gridando più
Un periodo denso, molto lontano dalla coazione alla spensieratezza che vorremmo imporci nella pausa estiva
forte e facendo la faccia feroce si possa arginare un sommovimento che impegnerà i Paesi «ricchi» lungo tutti i prossimi anni e decenni.
Gli idranti spruzzati contro la folla accampata a Piazza Indipendenza hanno una forza simbolica potentissima e infatti hanno creato sconcerto, paura, a volte indignazione. Ma le immagini non possono restituire solo la versione edulcorata di una tensione irrisolta e che negli scontri di Roma è esplosa in tutta la sua drammaticità.
La fine di un mito
Anche la fine triste di un mito vivente ha un risvolto drammatico con la caduta di Bolt nella staffetta 4x100 ai Mondiali di Londra. La caduta, il termine di un ciclo favoloso, l’icona dell’imbattibilità che mostra tutta intera la sua fragilità.
Come quell’altra immagine, Donald Trump che fissa l’eclissi solare senza gli occhiali protettivi, che invece vuole dimostrare l’arroganza di una sfida continua, persino al buon senso. O l’immagine dei funerali di Paolo Villaggio, un altro simbolo che viene meno, la fine del Fantozzi che è in ciascuno di noi. L’estate delle tragedie e dei drammi. Che non possono essere contenuti tutti in un selfie.