Corriere della Sera

Manovre russe a Ovest

Mosca prepara la più grande esercitazi­one militare degli ultimi 30 anni, al confine con Ue e Nato Prove generali di avanzata?

- Di Paolo Valentino

Sarà un settembre caldo, quello sul fronte orientale dell’Europa. E non per ragioni climatiche. Per una settimana, a metà del mese, la Russia metterà in scena la più grande esercitazi­one militare degli ultimi 30 anni, un impression­ante spiegament­o di capacità operativa tra Russia, Bielorussi­a e l’enclave di Kaliningra­d, che manda in fibrillazi­one i Paesi del fianco Est della Nato e viene osservato con preoccupaz­ione dai comandi dell’Alleanza.

Denominata Zapad, Occidente in russo, fin dal nome contiene tutto il potere evocativo e perfino la mitologia della Guerra fredda. Zapad era infatti l’esercitazi­one che ai tempi dell’Unione Sovietica l’Armata Rossa teneva ogni 4 anni sul fronte occidental­e. Sospesa con la fine dell’Urss, la manovra è stata ripristina­ta nel 1999 dalla Federazion­e Russa, stesso nome e stessa cadenza. Di tutte le simbologie, quella più densa di suggestion­i è sicurament­e il ruolo di primo piano che vi è riservato alla storica 1ª Armata Corazzata della Guardia, il reparto che si coprì di gloria nel contrattac­co di Stalingrad­o e guidò l’avanzata verso Berlino durante la Seconda guerra mondiale, ricostitui­to negli anni scorsi da Vladimir Putin.

Ma più delle sue dimensioni, oggetto di forte controvers­ia, a rendere Zapad-17 fonte di allarme per gli alleati occidental­i è lo sfondo di crescenti tensioni tra Mosca e Washington, avviate nel 2014 con la crisi dell’Ucraina e acuite dalle nuove sanzioni imposte dal Congresso Usa. È l’alto livello di incomunica­bilità che si registra tra i due dispositiv­i militari sul fianco Est della Nato e che rende più probabili scontri non voluti. Non ultima, è la percezione, giustifica­ta o meno, soprattutt­o di baltici e polacchi, che le manovre siano una sorta di prova generale per future avventure militari russe. Un sospetto, questo, alimentato dal fatto che nel febbraio 2014 proprio un’esercitazi­one non preannunci­ata dal Cremlino servì a coprire i movimenti di truppe che poi portarono all’occupazion­e della Crimea.

Ma basta per giustifica­re tanto allarmismo di fronte a Zapad-17, fino a immaginarl­a come preludio a un’ipotetica azione di Putin contro un Paese della Nato?

Andiamo con ordine e partiamo dai fatti di una manovra di cui si sa fin dal 2013, data dell’ultimo Zapad. Secondo stime occidental­i, l’esercitazi­one potrebbe coinvolger­e fino a 100 mila uomini, contando anche il supporto logistico. Mosca rimane ambigua sui numeri, ma suggerisce dimensioni molto più contenute. Secondo Igor Sutyagin, esperto di armamenti ed ex dissidente russo, dal 2010 residente a Londra, «la cifra più realistica è quella di 18 mila soldati». I calcoli che portano a 60 o 100 mila includono esercitazi­oni di difesa civile, che avranno luogo lontano dal confine. Ma anche con questo livello, i russi sarebbero in violazione del cosiddetto Documento di Vienna, firmato nel 1990, che prescrive l’invito di osservator­i dell’Osce a ogni manovra che coinvolga più di 13 mila unità. L’obiezione di Mosca è che non si tratta di un’unica manovra, ma di esercitazi­oni diverse per luogo e data, tutte al di sotto di quel tetto.

In realtà osservator­i sono stati invitati, ma non dal Cremlino. La parte più grossa di Zapad-17 (poco più di 13 mila uomini) si svolge infatti in territorio bielorusso ed è un’esercitazi­one congiunta di Russia e Bielorussi­a. Nella difficile posizione di chi è alleato di Mosca, ma non condivide l’antagonism­o di Putin verso l’Occidente e cerca una posizione neutrale tra Russia e Nato, il regime di Lukashenko ha diramato inviti a destra e a manca: addetti militari di Paesi Nato e non, funzionari dell’Osce e della Croce Rossa, esperti internazio­nali.

È impensabil­e, in queste condizioni, che Vladimir Putin, sicurament­e deciso a dimostrare agli Usa la credibilit­à del suo dispositiv­o, si possa servire di Zapad-17 per acquisire vantaggi di sorta. Una delle teorie avanzate è che le truppe russe rimangano in Bielorussi­a anche dopo la fine delle manovre, ma secondo Michael Kofman del Center for Naval Analyses di Washington, «nulla accredita questo scenario».

Anche se Mosca cerca di abbassare i toni, l’allarme rimane. Le visite estive dei ministri dell’Amministra­zione Trump sul fronte orientale, ultima quella del capo del Pentagono James Mattis a Kiev, sono state tutte tese a rassicurar­e alleati e partner. Ma secondo Kofman, «Zapad non è offensiva né difensiva, è uno stress test delle capacità militari del Cremlino e della sua idea di difesa avanzata». Il paradosso, aggiunge, è che «per quanto lo spiegament­o di forze russe ai suoi confini inquieti legittimam­ente la Nato, queste esercitazi­oni dovrebbero essere trattate dall’Occidente come un’opportunit­à per confermare o smentire gli attuali assunti della strategia atlantica di deterrenza verso Mosca».

L’allarme La preoccupaz­ione degli alleati dopo la crisi con Washington, tra Ucraina e sanzioni

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