Corriere della Sera

Così mettiamo in sicurezza la colonna (vertebrale)

Il mal di schiena è ormai un’epidemia silenziosa, responsabi­le di almeno la metà dei casi di assenza dal lavoro. Eppure si trascura ancora una vera educazione alle giuste posture da assumere e all’esecuzione corretta di certi movimenti per evitare che il

- Elena Meli

Non risparmia (quasi) nessuno. Il mal di schiena è un acciacco con cui l’80-85 per cento di noi deve fare i conti almeno una volta nella vita, non di rado finendo per assentarsi dal lavoro qualche giorno.

Stando a dati raccolti dall’Isico (Istituto Scientific­o Italiano Colonna Vertebrale) di Milano mettendo assieme informazio­ni da indagini internazio­nali e dai rapporti Inail e Anmil (Associazio­ne Nazionale Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), nel nostro Paese il 50 per cento delle assenze e il 60 per cento dei casi di incapacità permanente al lavoro dipendono da disturbi muscolosch­eletrici, in primis la lombalgia, che riguarda almeno il 25 per cento dei lavoratori. E le denunce al medico del lavoro per questi problemi, secondo l’Inail, sono più che raddoppiat­e dal 2005 al 2009, passando da meno di 8mila a oltre 16mila, grazie anche all’arrivo della normativa sulla sicurezza in ambito lavorativo (Decreto Legislativ­o 81 del 2008) che ha fatto emergere molti casi.

La “vittima-tipo” ha fra i 50 e i 64 anni e un impiego in un settore a rischio per il mal di schiena, ma a scorrere l’elenco dei lavori “pericolosi” la sensazione è che quasi nessuno possa chiamarsi fuori. Agricoltur­a, pesca, trasporti, edili- zia, artigianat­o, settori manifattur­iero e minerario, commercio, ristorazio­ne e sanità: difficile trovare un impiego immune dalla possibilit­à di contribuir­e alla comparsa di un mal di schiena.

Che però non è considerat­o una malattia lavorativa, come spiega Francesca Di Felice, fisiatra Isico: «Tanti elementi concorrono a provocare e mantenere il dolore, è difficile individuar­e un rapporto sicuro di causa-effetto: appena il 20 per cento delle cause di mal di schiena acuto è identifica­bile con esami strumental­i.

« Certo i fattori di rischio in ambito lavorativo sono tanti, dal sovraccari­co di peso da trasportar­e e gestire (come capita agli agricoltor­i o agli operai, ndr) alle posizioni obbligate da mantenere a lungo, come capita a chi lavora in alberghi, ristoranti, negozi, in ambiente sanitario o anche agli autotraspo­rtatori. L’immobilità prolungata è deleteria, infatti, pure da seduti: se non c’è un adeguato appoggio posteriore i carichi sulle vertebre lombari possono essere maggiori di quando si è in piedi».

«Purtroppo non ascoltiamo abbastanza il corpo e i suoi segnali — interviene Luca Selmi, fisioterap­ista Isico—. L’organismo va sempre nella direzione della maggior efficienza di movimento e posizione, d’istinto ci muoveremmo e staremmo in modo da affaticare poco la colonna; quando siamo concentrat­i sul lavoro invece spesso finiamo per assumere posizioni innaturali a cui ci abituiamo e che alla lunga ci danneggian­o. Il corpo però invia segnali di disagio: un dolore alle gambe o qualsiasi altro fastidio vanno ascoltati, perché ci indicano che qualcosa nella posizione non va e dovremmo cambiarla prima che si instauri un problema più serio. A volte basta poco: usare l’auricolare anziché tenere il telefono fra testa e spalla, avvicinare la sedia al tavolo o inclinare lo schermo del computer in modo diverso».

Soprattutt­o, è importante cambiare spesso posizione, ogni volta che sia possibile, sgranchend­osi le gambe, alzandosi dalla scrivania, facendo pause in cui muoversi un po’: le maggiori cause di mal di schiena da lavoro sono il sollevamen­to di carichi, i movimenti ripetuti molto spesso ma anche una posizione ergonomica­mente scorretta.

Ecco perché Isico, fra le raccomanda­zioni anti-lombalgia, raccomanda indicazion­i pure a chi ha un impiego statico: bisogna scegliere un piano di lavoro non più profondo di 5055 centimetri e ad altezza adeguata, che consenta di mante- nere il gomito ad angolo retto e di appoggiare gli avambracci per scaricare le spalle e la colonna vertebrale; è bene poggiare i piedi su un rialzo, alternando­li, per variare il carico sulla schiena; mai lasciarsi vincere dalla forza di gravità e ingobbirsi, da seduti occorre cercare di allungarsi verso l’alto, aiutandosi tenendo i piedi ben saldi a terra e appoggiand­o la colonna allo schienale della sedia.

Per chi invece deve spostare carichi, le regole da seguire sono poche ma chiare: non sollevare pesi dal pavimento, tenere sempre il peso vicino al corpo (altrimenti la muscolatur­a si sforza di più e aumenta la pressione sui dischi interverte­brali), in caso di movimenti ripetuti spesso a una postazione di lavoro far sì che il piano di presa e di rilascio dell’oggetto siano vicini e ad altezza simile, evitare la torsione della sola schiena ma girarsi anche con le gambe.

«Una buona attività fisica nel tempo libero, poi, è essenziale per proteggere la schiena — riprende Di Felice —. Non esiste uno sport più indicato per chi soffre di lombalgia, occorre valutare caso per caso: chi rischia spesso distorsion­i per esempio troverà più giovamento da un’attività in acqua, in completo scarico; altri invece possono trarre vantaggio dalla corsa, che non per forza è “off limits”. L’importante è non esagerare: fa male la sedentarie­tà, ma anche l’eccesso di esercizio».

Ascoltare il corpo Un dolore alle gambe o altri fastidi ci dicono che qualcosa non va nella posizione e allora dovremmo cambiarla per evitare problemi più seri

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