Corriere della Sera

Le nostri notti di allerta meteo nella città-fiume

- Di Alessandro Carrera

Per chi ha ancora un cellulare che funziona, le notti a Houston sono scandite dal segnale del sistema di allarme del servizio meteorolog­ico nazionale. L’avvertimen­to è sempre lo stesso: pioggia torrenzial­e prevista fino alle tre; no, fino alle quattro e mezza; no, fino alle sette del mattino. Il diluvio è finito, ma i titoli di coda sono più lunghi del film. Piove, si ferma, piove di nuovo. Il terreno non assorbe, l’acqua non fa in tempo a scorrere che altra ne viene, la città è diventata una di quelle piscine infinite sulle cime dei grattaciel­i di lusso. L’acqua scivola giù dal bordo ma non si svuota mai. Il mio quartiere è tra quelli fortunati. L’elettricit­à non è mai andata via, l’acqua corrente non è sporca, internet funziona, anche le strade sono sgombre. Ma non si può imboccare una superstrad­a; al primo avvallamen­to ci si trova davanti a una fossa d’acqua e non si può tornare indietro. Fuori dal recinto di poche strade; non si sa cosa si trova. Chi non ha fatto provviste è costretto a rifornirsi ai pochi distributo­ri ancora aperti o in quei negozietti a conduzione familiare che resistono perché questa è la loro occasione. Ieri c’era un uomo, probabilme­nte un senza casa, non proprio padrone di sé, fuori da uno di quei negozietti scassati. Non ragionava, disturbava, non lo facevano più entrare. Se ne stava riparato sotto un balcone con i vestiti grondanti. Mangiava un panino e rideva rivolto al cielo. Alcuni come lui li hanno trovati morti sopra i sacchi di sabbia accumulati a proteggere le porte dei supermerca­ti. Ma sono pochi. Il numero di vittime è per fortuna bassissimo. Un’area grande come Lombardia e Veneto, 58.000 Strade allagate e provviste Non si può imboccare una superstrad­a per le fosse d’acqua. Pochi distributo­ri aperti per chi non ha fatto provviste chilometri quadrati, è inondata. I numeri non dicono molto e le fotografie non dicono tutto, ma chi può fare i paragoni tra il prima e il dopo fatica a credere a quello che vede. Lo svincolo tra la superstrad­a 610 e la 288, un’autostrada a dieci corsie diventata un fiume nel corso di una notte, con l’acqua che lambisce i cartelloni, più alta di un autocarro. Il Buffalo Bayou, un rivoletto incassato che a stento merita il nome di fiume, che sommerge ponti arcuati e inonda l’intero centro della città, l’orgoglioso downtown dove si decide il futuro dell’industria petrolifer­a. C’è chi pontifica che la città doveva essere evacuata. Ci hanno provato nel 2005 con l’uragano Rita, e ci sono state più vittime nel tentativo di fuggire di quelle che aveva fatto la natura. Ci si poteva preparare meglio? Sì, forse, ma bisognereb­be anche accettare che non si può vivere in case di compensato in un’area a rischio di inondazion­i, o che Houston dovrebbe avere un piano regolatore, visto che la quarta città degli Stati Uniti non l’ha mai avuto.

L’autore è direttore del programma di Italian Studies, University of Houston

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