Corriere della Sera

«Bruno mi sentiva mentre gli dicevo: amore non mi lasciare»

A dieci giorni dall’attentato sulla Rambla Martina racconta gli ultimi momenti accanto al compagno

- (Ansa) Federico Berni

Il ricordo rivive negli attimi. Il furgone che falcia la folla, la fuga, le urla dei figli e poi quelle due parole che tolgono ogni speranza: «Es muerto». Martina Sacchi, 27 anni, con la mente è ancora a Barcellona. A quel 17 agosto in cui un criminale invasato ha portato via il padre dei suoi due figli, Alessandro e Aria. A dieci giorni dai fatti — 16 le vittime in tutto dopo il decesso di una turista tedesca neri giorni scorsi —, non ha voluto che si spegnesser­o i riflettori sulla morte di Bruno Gulotta, 35 anni, una delle due vittime italiane dell’attentato della Rambla. L’uomo che ha sacrificat­o la sua vita per salvare quella del figlio.

Assieme al cognato Lorenzo, il fratello 24enne di Bruno, Martina è andata di persona nella redazione del periodico online Tom’s Hardware, testata presso la quale il 35enne di Legnano lavorava come direttore marketing, e ha reso pubblico il racconto di quel pomeriggio che le ha cambiato la vita per sempre. «Passeggiav­amo sulla Rambla. Bruno teneva per mano Alessandro e io spingevo il passeggino con Aria». Pochi istanti, e nulla sarebbe stato più come prima: «Ho visto il furgone che puntava su di noi. È stato un attimo». L’istinto porta a scappare, Ai funerali Martina Sacchi, la compagna di Gulotta, arriva nella basilica di Legnano ma la via è ostruita. «Davanti eravamo bloccati da un palo e un albero, ci siamo messi a correre verso la strada. Bruno ha spinto Alessandro verso di me e io l’ho afferrato. Il furgone ha sfiorato me e mio figlio, ma ha preso Bruno in pieno». Non è morto sul colpo: «Mi sono chinata su di lui, ho chiesto aiuto, era vivo. Gli ho detto “amore mio ti prego non mi lasciare”, ho visto un guizzo nei suoi occhi, penso mi abbia sentito».

La scena si sposta in un albergo, dove Martina viene portata con la forza dalla polizia: «Dalla vetrata vedevo cosa succedeva, sembrava un film dell’orrore. Piangevo, gridavo». L’unico pensiero, però, era tornare da Bruno: «Sono riuscita a tornare da lui uscendo da una porta secondaria dell’hotel, l’ho raggiunto proprio quando i medici hanno detto “es muerto”, e lo hanno ricoperto con un telo, è morto da eroe, silenzioso e discreto come era nel suo carattere, la sua famiglia era tutto». In quel momento, arriva di corsa Lorenzo, il cognato, anch’egli a Barcellona e testimone diretto della tragedia. «Ho sentito anche io quella frase del medico — racconta — mio nipote Alessandro mi è saltato in braccio». Il piccolo, 4 anni e mezzo («un bimbo molto più maturo della sua età»), ha già capito tutto: «Mi ha urlato “zio zio, papà è morto, un camion gli è passato sopra e gli ha fatto male alla testa”».

L’ultimo pensiero di Martina è per i figli: «Vivrò per ricordare loro che uomo meraviglio­so era loro padre», oltre che per la fidanzata e i famigliari di Luca Russo, l’altro giovane di Bassano del Grappa ucciso dai terroristi a Barcellona: «Il loro dolore, è il mio dolore».

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