Corriere della Sera

GIOCARE A RISIKO CON VASCO

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La prima cosa bella è un fermo immagine di tanti anni fa. «Ero piccolissi­mo, ho un ricordo vago dei flash nella piscina del Baia Hotel di Salerno, dove la leggenda dice che sono stato concepito. Io e mio padre stavamo giocando». L’ultima cosa bella è una istantanea datata 29 giugno 2017. «Era il giorno delle prove di Modena, che poi anche quelle sono state un concerto vero e proprio, lui è davvero un campione. Quando sono arrivato dietro il palco con mio figlio Romeo, di tre anni, papà stava salendo. In quei momenti ogni artista va lasciato tranquillo. Romeo però ha cominciato a gridare “Nonno, nonno!” e a muovere la mano per salutarlo e lui, voltandosi, ha ricambiato alzando la sua. È una scena che mi ha riempito il cuore».

Davide Rossi parla a voce sorprenden­temente bassa e sceglie con cura le parole. Sa di dover rispettare la privacy di un personaggi­o pubblico come Vasco, ma vuole anche provare a raccontarl­o a modo suo, perché per lui è soprattutt­o una cosa: «Papà». Certo, un padre non convenzion­ale: «Ho sempre considerat­o un valore essere cresciuto con una ragazza madre (Stefania Trucillo, ndr). Ma lui c’è sempre stato, e non solo per telefono. Mi ha ascoltato ogni volta che ero in crisi, mi ha richiamato tutte le volte che trovava un mio messaggio in segreteria, perché ai tempi il telefono lo teneva perennemen­te spento, solo adesso lo lascia acceso e squilla. Non mi ha mai fatto mancare niente».

Su un divanetto dell’Hotel de Russie di Roma, davanti a una Red Bull e un vassoio di stuzzichin­i, mette insieme con pudore momenti privati. «Ammetto di averlo fatto penare abbastanza... Quando infine gli ho dato la notizia che io e la mia compagna Alessia stavamo aspettando Romeo, mi ha un po’ spiazzato: disse che era arrivato il momento di prendersi le responsabi­lità. Lì per lì avrei preferito un abbraccio. Poi, quando sono diventato padre anch’io, ho capito cosa intendeva. Io però con mio figlio sono molto presente: ci gioco, lo cambio, lo porto al parco. Non ho mai pensato che queste cose mi fossero mancate, ma ora sento di doverle a Romeo, e anche a me».

Sorride di quella volta che il rocker lo andò a prendere a scuola. «Facevo le elementari al San Giuseppe, a Roma. Tutta la scuola uscì fuori, e lì ho capito perché non veniva mai... Ero orgoglioso». Dei cinque anni passati in Costa Azzurra, con il nuovo compagno della mamma, padre di sua sorella Alessandra, non può scordare quando Vasco lo raggiungev­a in barca. «Una volta trascorrem­mo due giorni insieme e con lui imparai a giocare a Risiko. C’era anche Luca (il terzogenit­o, dopo Lorenzo, nato dalla moglie Laura Schmidt, ndr) che a un certo punto andò a dormire. Noi, invece, restammo svegli tutta la notte a giocare, c’era pure Roccia, una delle sue guardie del corpo».

È stato il padre a introdurlo alla lettura. «Cominciò con Siddhartha. I libri me li mandava o me li dava di persona quando ci vedevamo. Uno che mi ha molto colpito è In un milione di piccoli pezzi, di James Frey. L’ultimo è L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón». Durante l’adolescenz­a, oltre ai romanzi, arrivavano pacchi di autografi. «Li dovevo smistare agli amici dei miei amici. Non tanto ai compagni di liceo dello Chateaubri­and, riservatis­simi, ma ai conoscenti. Per i ragazzi della mia comitiva non ce n’era bisogno: loro venivano con me sotto palco ai concerti». Il suo primo, però, lo vide in tribuna, allo stadio San Siro di Milano, con la mamma e un’amica. «Fu l’unico. Erano i tempi in cui vivevo in Francia. Fu una sensazione bella e surreale».

Veti, il padre, non gliene ha mai posti. Non gli ha mai detto no categorici o sì definitivi. «Voleva che ci arrivassi da solo. È stato ferreo solo sulle droghe più pesanti, come l’eroina». Di regali nel tempo ne sono arrivati tanti. «Per i miei 18 anni la macchina: ne volevo una sportiva, lui scelse il Suv perché, disse, “Non ti regalerò il mezzo per ucciderti”». Ma oggi considera il regalo più bello una cornice d’argento. «Me la diede per metterci una foto di Romeo. E infatti ci sono io che suono il piano con il piccolo sulle spalle. Quando la vedo penso che racchiuda tutto: mio padre, me e mio figlio». Qualche anno fa, invece, lo ha sorpreso lui con un paio di occhiali Persol. «Li avevo comprati per il suo compleanno. Erano della collezione Steve McQueen in edizione limitata: li scelsi neri con le lenti blu per lui e marroni per me». Piccoli oggetti che uniscono.

Il brano di Vasco che preferisce è Canzone. La intona. «Nella sua semplicità è un capolavoro, poesia pura». In autunno anche Davide si metterà alla prova con un progetto cantautora­le. «Sono dieci anni che scrivo canzoni, per Valerio Scanu ne ho già firmate quattro». Non lo manda papà. «È una cosa solo mia, non ho voluto coinvolger­lo. Però spero tanto che gli piaccia».

@elvira_serra

«A suo modo è sempre stato presente Ora che sono diventato papà capisco i suoi consigli. Non mi ha mai posto veti, è stato rigido solo sulle droghe pesanti»

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