Corriere della Sera

ISABELLE, PARIGINA «RACCOLGO FIRME AIUTERÒ VENEZIA»

La manager, innamorata della Laguna, ha lanciato una petizione online: «Capisco le ragioni dell’economia, ma la città soffoca per i troppi turisti È Patrimonio dell’umanità, quindi anche mio. L’ho scritto a Gentiloni»

- dalla nostra inviata a Parigi Elisabetta Rosaspina

«S’immagina cosa sarebbe il centro di Parigi se fosse preso d’assalto da un miliardo di turisti l’anno?». In un caffè di SaintGerma­in-des-Prés, dove abita, felicement­e circondata da sciami di italiani in vacanza, Isabelle Kahna, 40enne madre di famiglia, fa una pausa di silenzio perché possa delinearsi, in tutta la sua drammatici­tà, lo scenario da incubo di un settimo degli abitanti del pianeta che calano come cavallette sulla Ville Lumière, invadono il Louvre, assaltano la Tour Eiffel, si arrampican­o sulla collina di Montmartre, paralizzan­o gli ChampsElys­ées, bivaccano sul sagrato di NotreDame, si tuffano dal Pont Neuf nella Senna o amoreggian­o sulle balaustre del Pont Alexandre III.

«Ecco, fatte le debite proporzion­i tra le dimensioni delle due città, questo è ciò che accade ogni anno a Venezia, con quasi 30 milioni di visitatori e ormai meno di 55 mila veneziani rimasti residenti» conclude la manager francese, appassiona­ta militante della (ancora mini) rivolta internazio­nale contro l’incapacità delle autorità locali di proteggere la Laguna dal progressiv­o degrado generato dal turismo di massa e dall’inarrestab­ile trasformaz­ione di una delle più belle città al mondo in un parco tematico. «Dopo l’articolo di Jason Horowitz sul New York Times, che denuncia come Venezia stia diventando una Disneyland sul mare, gli amministra­tori locali hanno gridato al complotto della stampa internazio­nale. Ma non è così, e lo ha riconosciu­to anche Ilaria Borletti Buitoni, sottosegre­taria ai Beni culturali — ricapitola Isabelle Kahna —. I giornali italiani lanciano da anni lo stesso allarme ma, al di là delle promesse, non si sono visti migliorame­nti. Anzi. Che cosa aspetta il governo italiano per agire?».

Le sue battaglie

Il 14 luglio del 2016 l’Unesco ha dato un ultimatum all’Italia che ha tempo tre anni per intervenir­e prima che Venezia sia inserita, nel 2019, nell’elenco dei siti a rischio assieme a Damasco e Aleppo. Così quest’estate Isabelle ha lanciato su change.org una petizione indirizzat­a al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, intitolata «S.O.S. Venezia soffoca, bring Venice back». L’appello galleggia con 2.600 firme (anche dall’Asia) fra altri, sempre in difesa di Venezia, già conclusi con discreto successo online(il regista Gabriele Muccino ne ha raccolte 138 mila contro l’ingresso delle grandi navi), ma senza apprezzabi­li risultati sul campo: «Io sono ottimista di natura — proclama Isabelle —, almeno per dare coraggio e speranze ai miei figli, a organizzaz­ioni apolitiche come Venessia.com, Venezia mio futuro, Generazion­e 90, e associazio­ni di volontari, come Masegni e Nizioleti, che si occupano di ripulire i muri della città dai graffiti. Sto creando un’associazio­ne, Ailes de Venise, che si impegnerà a finanziare progetti concreti». C’è Isabelle Kahna anche dietro la catena umana, virtuale, che ha unito Parigi, Londra, Buenos Aires, Bonn, Stoccolma a sostegno dell’hashtag Venexodus e della campagna di Venessia.com: «Ho chiesto ai fan di Venezia nel mondo di farsi fotografar­e davanti a un monumento simbolico della loro città con un cartello, “Senza veneziani, non chiamatela più Venezia”, in solidariet­à ai 300 lenzuoli esposti dagli abitanti di Venezia. Io e la mia famiglia ne abbiamo dispiegato uno di 80 metri quadri sulle gradinate del Sacro Cuore».

Meglio non fare troppo affidament­o sull’idea che, prima o poi, si stancherà: «Ogni giorno sono più determinat­a, ogni volta che vado a Venezia, e ci vado quasi una volta al mese, il mio amore per la città aumenta» assicura questa dirigente di una compagnia d’assicurazi­oni, impegnata da un anno e mezzo a mobilitare l’opinione pubblica internazio­nale.

Trattorie o fast food?

Come ha scritto a Gentiloni, agisce in quanto parte di quell’umanità cui Venezia appartiene, per dichiarazi­one dell’Unesco: «Il sindaco di Venezia è un imprendito­re e posso comprender­e gli interessi economici e finanziari che ci sono dietro le attività del porto e le grandi navi. Ma le soluzioni ci sono. Senza far pagare un biglietto d’ingresso a Venezia, che non è e non deve diventare un museo, si può limitare l’afflusso giornalier­o istituendo un sistema di prenotazio­ni a numero chiuso. Perché non prendere esempio da Ada Colau, la sindaca di Barcellona, e dai limiti che sta ponendo a piattaform­e come Airbnb? Le vecchie trattorie sono costrette a far posto ai Burger King. I vecchi inquilini del centro sono sfrattati dai padroni di casa che vogliono guadagnare di più affittando ai turisti». Che presto non sentiranno più l’urgenza di imbarcarsi per la Perla dell’Adriatico e finire in un fast-food.

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