MACRON E TRUMP IN CALO PERCHÉ MERKEL RESISTE
Quattro mesi dopo la straordinaria vittoria, le nubi di sondaggi negativi oscurano la stella di Emmanuel Macron. In quanto a crollo di popolarità, il presidente francese batte i predecessori anche in velocità di cambiamenti d’umore dell’opinione pubblica. Soltanto gli elettori di En Marche! — movimento esploso sulle ceneri dei partiti — esprimono ancora sostegno quasi unanime. Anche la stella di Donald Trump si è offuscata in fretta. Popolarità scesa al 36 per cento e malcontento diffuso anche fra elettori repubblicani, orfani di un vero partito.
Macron paga le prime decisioni impopolari. I francesi, scontenti per natura, esprimono malumore preventivo per misure che verranno in ambito sociale e fiscale. L’incredibile trionfo ha creato la suggestione mediatica della grande rivoluzione, aspettativa che rischia di andare delusa. L’entusiasmo per la vittoria altrettanto sorprendente di Trump si è spento invece per errori di casting, Russiagate e proclami rivelatisi in buona parte irrealistici.
I due leader mondiali più mediatici del momento, eletti in circostanze che hanno fatto a pezzi i favoriti e sconvolto tradizionali meccanismi di selezione dei candidati, sembrano patire strumenti che li hanno portati in alto: immagine, uso della rete, seduzione di sentimenti anti-establishment (pur facendone parte) con un sogno di riscossa nazionale, medicina più commerciabile del rozzo populismo.
I confronti si fermano qui. Troppo diverse le personalità, i sistemi elettorali, le società in cui Trump e Macron si sono affermati e le prospettive a medio termine, a dispetto degli stessi sondaggi. Trump corre il
rischio impeachment, l’avventura di Macron è solo agli inizi. La scommessa può essere vinta. I sondaggi leggono tendenze, non giudicano anche capacità e competenze.
Ma è un fatto che in entrambi i Paesi la luna di miele sia tramontata in fretta. Si evidenzia la forbice fra successo politico/elettorale che conduce al potere e maggioranze realmente espresse: democraticamente legittime, ma socialmente minoritarie, esposte a malcontento diffuso e in libera uscita permanente.
I sondaggi confermano la volubilità di società parcellizzate, fotografano il rapporto emotivo fra leader e opinioni pubbliche, spesso condizionato dalla supremazia della rete su partiti e corpi intermedi. I meccanismi di costruzione/distruzione del consenso restano tuttavia complicati. E le analisi possono essere contraddette da sondaggi successivi.
Basta radiografare un fenomeno di segno opposto, l’inarrestabile marcia di Angela Merkel verso la vittoria di settembre. Sarebbe il quarto mandato consecutivo, con il sostegno radicato di partiti storici e popolari (l’Unione Csu-Cdu) che non hanno mai cambiato nomi, etichette e fondamenta culturali, come l’intramontabile cancelliera, al comando da sedici anni, non ha mai cambiato pettinatura. Questo è il suo marketing mediatico, un rassicurante messaggio per i tedeschi, garanzia di stabilità e continuità. «In Germania — dice lo slogan della campagna — si vive bene e volentieri».
Anche la Merkel può perdere qualche punto e ha dovuto contenere spinte populiste che tuttavia non travolgono gli argini di una società soddisfatta, di sicuro più di quanto non lo siano la Francia e l’America. Valgono dunque anche in Germania considerazioni accennate per Macron e Trump, a proposito di diversità di personalità, sistema istituzionale e circostanze economiche e sociali.
Varrebbe un accenno anche il caso italiano, la considerazione crescente per il low profile di Paolo Gentiloni, dopo la stagione dei fuochi d’artificio renziani. È uno stile più consono ai tempi, apprezzato al di là dei giudizi sul governo, che denota quantomeno stanchezza per la grancassa populista.
Di sicuro, di promesse ne ha fatte poche, parlandone il meno possibile. E i sondaggi non fanno tramontare lune di miele non ancora davvero cominciate.
Ascesa Meno promesse e più stabilità aiutano la cancelliera tedesca a guadagnare consensi