Corriere della Sera

LA ROTTA MEDITERRAN­EA PUÒ ESSERE CHIUSA

- Tommaso Procopio Peter Fieldman

Caro Aldo, lo sa perché la Juventus è la squadra che più si lamenta per l’avvento della moviola a bordo campo? Perché è quella che in passato ha più beneficiat­o degli «errori» arbitrali. Forza Inter!

Severo Ferrari

Dopo discussion­i infinite, si sperimenta la «Var» (Video Assistant Referees) per 4 casi: gol/non gol, rigore, espulsioni, scambi di persona. Troppo spesso i risultati del campo sono condiziona­ti dagli arbitri; se la tecnologia può ristabilir­e correttezz­a, scongiuran­do sudditanze psicologic­he e errori, ben venga. Fabio Sìcari

Con l’arrivo del «Grande Tranello», cioè la tecnologia al servizio dell’ingiustizi­a sportiva, e dopo Roma-Inter possiamo tranquilla­mente dire che il calcio del «var...west» è bello perché un po’ più «a...var...iato»!

Enzo Bernasconi

Mi sono soffermato su come gli arbitri hanno gestito la valutazion­e e il giudizio su qualche azione dubbia e l’attesa del responso degli addetti al Var. Sembravano appartener­e a un altro mondo, insicuri e dubbiosi sulle decisioni («Adesso cosa faccio?»: labiale di un arbitro, letto da un cronista tv). Sono per la tecnologia e il progresso, ma mortificar­e o impoverire il profilo degli arbitri, non mi sembra un prezzo da pagare!

Rino Impronta Cari lettori, la penso come Buffon: la moviola in campo fa del calcio uno sport da laboratori­o. I due rigori concessi dalla tecnologia – dopo lunghe pause che hanno reso surreale il primo tempo di Genoa-Juve – forse c’erano; ma l’arbitro non li aveva dati, e nessuno li aveva reclamati. La moviola è stata pensata per rimediare agli errori più clamorosi; però non può segnalare quanto forte sia stata una spinta, quanto duro un colpo. E poi il calcio non è uno sport cerebrale. La tattica è importante, ma in modo diverso rispetto al tennis, al basket, al volley, o alla pallanuoto per citare l’esempio del capitano della Nazionale. Il calcio non prevede time-out; se interrotto, perde in dinamismo agonistico. Non è un problema dell’arbitro, ma degli atleti, e degli spettatori. Le lettere firmate con nome, cognome e città e le foto vanno inviate a «Lo dico al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

lettere@corriere.it lettereald­ocazzullo @corriere.it

Aldo Cazzullo - «Lo dico al Corriere» «Lo dico al Corriere» @corriere

Caro Aldo,

ci sarà mai un politico disposto a prendersi la colpa per la situazione prodotta con la politica dell’accoglienz­a, del «cosa sono 180.000 migranti per un Paese di 60 milioni di abitanti»? La crisi dei migranti è fuori controllo: nessuno valuta chi è un rifugiato e chi è un migrante economico da deportare immediatam­ente.

Cari lettori,

La maggioranz­a delle molte lettere che sono arrivate al Corriere anche ad agosto continua a riguardare la questione dei migranti. È la questione con cui all’inizio dell’anno abbiamo aperto il nostro dialogo. Non ho cambiato idea: la rotta del Mediterran­eo va chiusa. Qualche passo in avanti nella giusta direzione è stato fatto, grazie anche a Minniti, il miglior ministro dell’Interno dai tempi di Giuseppe Pisanu. Ovviamente la soluzione è ancora lontana.

Questi giorni in cui non ci siamo sentiti li ho passati in Africa, in sei Paesi diversi. Ho parlato con centinaia di persone. Non ne ho trovata una, una sola, che volesse venire in Italia. Ne ho trovate moltissime che volevano sfuggire al destino che sentono scritto per loro. Finora a un africano che volesse andarsene è arrivato questo messaggio: la porta dell’Europa e di una vita migliore è Lampedusa, sono le coste siciliane e pugliesi, via Libia. È evidente che occorre smontare questo meccanismo insostenib­ile, che per anni ha avuto quattro fasi: il viaggio nel deserto, la traversata del Mediterran­eo, l’accoglienz­a in Italia, il passaggio nel Nord Europa. L’ultimo anello è saltato da tempo, con la sospension­e di fatto di Schengen e la caccia all’uomo con i cani sul versante francese. Il terzo anello non può e non deve saltare, perché non possiamo lasciar morire la gente in mare o di fame a casa nostra. Si sta lavorando, con l’embrione di Stato libico e con i Paesi subsaharia­ni, per smontare i primi due. I risultati, ovviamente da verificare e consolidar­e, dimostrano che il problema è complesso ma non irrisolvib­ile. Ne riparlerem­o. Posso dirvi intanto che sul futuro dell’Africa sono ottimista. Ci siamo fatti l’idea di un continente miserrimo e disperato. Non è così, sta crescendo una generazion­e fiera, che andrebbe aiutata non con donazioni ai dittatori (che per fortuna invecchian­o e tendono a sparire) ma con progetti concreti. Ad esempio eradicare la malaria, di cui gli africani non parlano quasi mai perché se ne vergognano o la consideran­o un accidente necessario, mentre è un grave freno allo sviluppo.

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