Uber, alla guida arriva Khosrowshahi, l’iraniano che ha rivoluzionato Expedia
Il manager nato a Teheran è stato preferito a Immelt e a Whitman. La nuova strategia
2001. Khosrowshahi allora lavorava per una società media, la Iac (Daily Beast, Dictionary.com, Vimeo e Ask.com) che poco prima dell’11 settembre aveva acquistato Expedia da Microsoft.
Una delle clausole dell’accordo prevedeva la possibilità di recesso in caso di gravi sconvolgimenti e non c’è dubbio che l’utilizzo di aerei di linea quali bombe contro dei grattacieli a New York, un atto di guerra, era tale per il settore dei viaggi e del turismo. Il management di Iac si riunì per decidere e, come ha raccontato in seguito lo stesso Khosrowshahi che era presente quel giorno, si optò per stringere i denti e tenere Expedia convinti che fino a quando ci sarà vita, la gente viaggerà.
Umiltà, il contrario di quanto mostrato da Kalanick in questi anni: ha litigato anche con un autista di Uber che si lamentava di non guadagnare abbastanza per vivere (il video è finito in rete). Dal punto di vista economico la fama da cattivo ragazzo del fondatore ha funzionato: nel 2014 la start up era valutata 19 miliardi. Prima dell’estate era giunta quasi a quota 70. Si trattava della maggiore crescita prima dell’annuncio di una quotazione in Borsa, comprese le varie Facebook, Google e Twitter. Per fare un esempio, la società di Mark Zuckerberg aveva toccato i 104 miliardi il primo giorno di Borsa con l’Ipo. Tutto ruotava intorno al culto della personalità di Mister Uber, padre di un movimento, chiamato «uberizzazione» dell’economia, che è andato oltre alla sua stessa creatura ma che ha fatto naufragio tra accuse di sessismo rampante all’interno dell’azienda con la denuncia di un ingegnere, Susan Fowler, del totale disinteresse da parte dell’ufficio delle risorse umane rispetto alle lamentele, tentativi di raggirare le istituzioni con app fantasma e accuse di spionaggio industriale con Google sulle automobili che si guidano da sole. Tutti indicatori di una aggressività molto oltre il tollerabile anche per una società «innovativa».
Di fatto il caso Uber ha permesso di misurare forse per la prima volta quanto vale il maschilismo a Wall street. Vanguard e Hartford, due dei più grandi fondi americani, hanno ridotto del 15%, a circa 50 miliardi, la propria valutazione. Solo leggermente di manica più larga T Rowe: il maschilismo in questo caso si è fermato a 12 per cento in meno. Nell’era in cui ogni cosa passa dal valore economico ora è chiaro che anche discriminare o essere troppo aggressivi vuole dire perdere miliardi. Anche se, ironia della sorte, tutto ciò è scivolato sulla pelle degli utenti: la società ne ha appena comunicato la crescita.
Per gli amanti dei corsi e ricorsi la storia di Kalanick ricorda altri casi eclatanti come la cacciata di Steve Jobs da Apple negli anni Novanta e quella di Jack Dorsay da Twitter, poi richiamato come Jobs.
Dunque, è lecito domandarsi: anche per Kalanick ci sarà una seconda possibilità?
@massimosideri