Bindi: non mi prenderete né per Renzi né per Boschi
«Non vorrei che stasera qualcuno si aspettasse da me che rappresenti il Pd di Renzi. Il Pd di adesso non si sentirebbe rappresentato da me. Quindi, una volta accertato che non mi scambierete per Renzi e, sono certa, non mi scambierete neanche per la Boschi, sono pronta a questa chiacchierata», ha ironizzato così Rosy Bindi alla festa del Fatto Quotidiano alla Versiliana. «La responsabilità di come è diventato il Pd è di tutti».
sistemi elettorali che corrono l’incarico, o gli incarichi, li darà più che mai lui).
In ogni caso, per ben due volte la politica busserà inevitabilmente alla porte del governo di qui alla fine della legislatura. La prima è lo ius soli. È stato lo stesso Gentiloni a rilanciarlo, quando sembrava sepolto dagli eventi. Fa parte del gentlemen agreement con la Chiesa, stretto mentre il governo dava il via libera all’operazione Minniti sulle Ong (che Gentiloni ha sostenuto e promosso anche perché era ciò che gli chiedevano i libici, prima di accettare il nostro intervento navale). Il premier cura molto il suo eccellente rapporto con il mondo cattolico: ha parlato in Vaticano a marzo subito prima del Papa per l’anniversario dei Trattati, a maggio ha presentato il numero 400 di Civiltà Cattolica, è appena stato al Meeting di Cl e in ottobre chiuderà le settimane sociali della Chiesa a Cagliari. Ma per non far cascare l’incandescente tema dei migranti nella santabarbara della legge di Bilancio, l’idea è di anticipare il nuovo tentativo il più possibile, per tenere a distanza le due cose. Per la stessa ragione, ma inversa, è importante che il nuovo giro sulla legge elettorale, l’altro inevitabile showdown con la politica, arrivi il più tardi possibile, dopo la conclusione della sessione di bilancio, e quindi tra dicembre e l’anno nuovo.
Un governo che deve temere solo la politica, dunque. Sarà per questo che lo slogan informale del Consiglio dei ministri, tra il serio e il faceto, è diventato: «Qui si governa e
non si fa politica». E sarà per questo che Gentiloni è forse il primo premier della storia recente a non aver ancora dato un’intervista a un quotidiano. Una consuetudine che cominciò quasi per necessità, quando il governo nacque non si sapeva né cosa dire né quanto durava, e che si è trasformata in uno stile di governo e forse anche in una scaramanzia: l’esperienza recente insegna che è meglio tacere, piuttosto che vantare risultati prima del tempo.
Così quello presieduto da Gentiloni è oggi la cosa più somigliante che ci sia a un esecutivo di larghe intese, e forse ne precede uno vero e proprio.
Al varco Lo ius soli e il dibattito sulla legge elettorale sono i due principali rischi per il premier
Intese non dichiarate, molto trasversali, fondate su uno stato di non belligeranza garantito proprio dal principio che il governo non fa politica ma risolve problemi per tutti, anche per quelli che verranno dopo. Dipenderà poi da Renzi, a fine legislatura, decidere se vuole spendere in politica questo rimarchevole capitale di affidabilità, varando un ticket elettorale con il premier, oggi decisamente più popolare di chiunque porti il marchio del giglio magico. A quel punto, forse, Gentiloni farà un’intervista. E scenderà in campo.