Corriere della Sera

PERCHÉ LA RIPRESA È FRAGILE

- di Lucrezia Reichlin

Il «grande rientro» di inizio settembre si apre con una buona notizia per l’economia italiana: la ripresa ha subito un’accelerazi­one e si rivela più robusta delle aspettativ­e. Da qualche mese le previsioni del tasso di crescita del prodotto interno lordo sono state riviste continuame­nte al rialzo e si attestano oggi all’1,5% per il 2017. Ancora pochi mesi fa quella stima indicava un tasso tra lo 0,8 e l’1%. Chiarament­e l’economia italiana è riuscita ad ancorarsi alla ripresa mondiale e gli scenari peggiori sembrano essere stati sventati.

La nostra fragilità tuttavia rimane e sarebbe un errore abbassare l’attenzione sui temi della crescita. Capirne le cause e definire i pilastri per una strategia di lungo periodo dovrebbe essere il tema della nuova stagione politica.

Come ha ricordato recentemen­te il governator­e della Banca d’Italia Ignazio Visco, l’1,5% è un dato congiuntur­ale, non struttural­e. Questo significa che il numero non indica la crescita media che dobbiamo aspettarci per i prossimi dieci/venti anni, ma bensì un ritmo di marcia temporanea­mente al di sopra del tasso potenziale di lungo periodo.

C’è molta incertezza su quale sia questo tasso. La Commission­e europea lo dà negativo per il periodo 2009-2016 e intorno all’1% per il decennio precedente. Ma un fatto è certo. Mentre le riprese congiuntur­ali — così come le recessioni — sono eventi ricorrenti, la crescita potenziale, pur non essendo costante, è relativame­nte stabile.

PSEGUE DALLA PRIMA

uò diminuire rapidament­e in caso di eventi eccezional­i, per esempio la guerra o una crisi finanziari­a profonda come quella vissuta dall’Italia negli ultimi dieci anni, ma raramente si impenna in positivo e se lo fa, questo tipicament­e avviene in relazione ad interventi di grande discontinu­ità. Esempi sono la stagione delle riforme avviate da Deng Xiaoping in Cina a partire dagli anni Ottanta o quelle dell’India a partire dagli anni Novanta e riguardano soprattutt­o Paesi emergenti con ampio spazio di modernizza­zione e cambiament­i struttural­i legati all’industrial­izzazione. Molto rari sono questi episodi in Paesi maturi come il nostro.

L’Italia dopo trent’anni di crescita potenziale stabile e allineata con i maggiori partner europei, ha iniziato dagli anni Novanta un periodo di lento declino a cui si è aggiunto l’effetto della grande crisi che ha comportato una distruzion­e di capitale umano e fisico che va ricostruit­o.

Per affrontare il problema della crescita potenziale è necessario capire le cause delle due fasi di rallentame­nto struttural­e degli ultimi 30 anni. In ambedue i casi si è assistito ad un rallentame­nto della produttivi­tà del lavoro dovuta ad una scarsa accumulazi­one di capitale, al deterioram­ento della sua qualità in termini di contenuto innovativo e ad una debole dinamica della produttivi­tà di tutti i fattori, cioè dell’efficienza generale del sistema. Abbiamo quindi bisogno non solo di investimen­ti e di flessibili­tà del lavoro, ma anche di migliorare la capacità di innovazion­e, l’imprendito­rialità, l’efficienza delle istituzion­i e la qualità del lavoro e del capitale. C’è bisogno di investimen­ti, innovazion­e e soprattutt­o di un migliore sistema educativo.

Come mostrano gli studi dell’Ocse, l’Italia ha uno dei più bassi numero di iscritti all’Università tra i Paesi avanzati, un‘alta percentual­e di laureati che non trovano lavoro e — che è l’indicatore più allarmante — circa un terzo dei giovani tra 20 e 24 anni che né studiano, né lavorano. Tutto ciò a fronte di una diminuzion­e di spesa nel settore educativo di circa il 14% negli ultimi cinque anni.

Produttivi­tà e capitale umano sono strettamen­te legati. Per essere in grado di formare una forza lavoro capace di operare in un’economia dinamica centrata sull’innovazion­e, abbiamo bisogno di un programma di qualificaz­ione del nostro sistema educativo che vada dalle scuole primarie fino all’università.

Se l’obbiettivo è tornare a crescere in media al 2%, cioè al ritmo che l’economia italiana ha avuto tra inizio anni Settanta e inizio anni Novanta, c’e’ bisogno di un’operazione di grande discontinu­ità, una operazione alla Deng Xiaoping, per intenderci. La portata dell’obbiettivo non va sottovalut­ata. Il traino della domanda mondiale o piccole misure di ritocco non bastano. Ma le risorse non sono illimitate. Per questo bisogna stabilire delle priorità e i pilastri di un piano pluri-annuale per la crescita in cui si riconosca la complement­arità tra investimen­ti e sistema educativo.

Formazione Va riconosciu­ta la complement­arità tra investimen­ti e sistema educativo

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