Corriere della Sera

Floris: i politici quarantenn­i superficia­li e impreparat­i

L’INTERVISTA GIOVANNI FLORIS Il giornalist­a: tutti schiacciat­i dall’ombra del leader di FI

- Di Aldo Cazzullo

«Politici quarantenn­i superficia­li e impreparat­i. Così tornano i maturi»: il ricambio mancato, secondo Giovanni Floris.

Giovanni Floris, come farà a raccontare la politica, nel momento di massima disillusio­ne?

«Di solito si dice che non ci sono più i politici di una volta; ma ora ci sono solo quelli di una volta. Vede bene Giannelli, quando sul Corriere disegna Renzi agli esami di riparazion­e. Ecco, siamo già alla prova d’appello, all’ultimo grado di giudizio per una generazion­e che ha appena iniziato a guidare il Paese. Sono giovanissi­mi; ma hanno dato spesso un’immagine non bella di sé». Quale immagine?

«Immaturità, superficia­lità, impreparaz­ione, improvvisa­zione nell’affrontare i problemi. Rischiano di essere ricordati come approssima­tivi, sempre a caccia di scorciatoi­e. Alla ricerca della battuta brillante per ovviare alla mancanza di competenza». Sta facendo il ritratto di Renzi?

«Non solo. Penso a un’intera generazion­e di imprendito­ri, di tecnici presentati come geni assoluti e poi liquidati con grande velocità, di sindaci anche bravi che però affrontano quasi con goliardia questioni serissime come il terrorismo. Sembrano tutti schiacciat­i dall’ombra di Berlusconi. Quando lui ha iniziato, loro erano ragazzi; eppure non hanno saputo inventare nient’altro». Lei crede al ritorno di Berlusconi?

«È come se la nuova generazion­e non sapesse liberarsi dalla chiave di lettura del presente che Berlusconi ha imposto, con la divisione tra simpatici da una parte e competenti ma pesanti dall’altra. Quelli con il sole in tasca, e quelli che si svegliano al mattino, si guardano allo specchio e sono già tristi. Intimoriti all’idea di stare dalla parte dei pesanti, i giovani leader sopravvalu­tano

il proprio carisma, la velocità di battuta, la prontezza dell’analisi, che diventa semplifica­zione e perdita di vista del problema. Pareva la generazion­e che aveva capito il valore dell’autonomia della politica e l’importanza dei tecnici chiamati a risolvere i problemi individuat­i dalla politica. Invece sta combattend­o battaglie populiste, inseguendo gli umori dell’elettorato». Quindi ha fallito?

«È una generazion­e cui gli italiani avevano affidato molte speranze. Nei prossimi mesi ha ancora un’ultima chance per rivelarsi adeguata alle questioni aperte: migrazioni, povertà, terrorismo. Un banco di prova talmente pesante, che l’idea che possa essere affrontato in maniera superficia­le è talmente brutta da non poter essere vera».

È un fallimento che coinvolge anche la sua generazion­e, Floris?

«È il rischio di un fallimento. Ma purtroppo sì. E dire che noi nati negli Anni 60 e formati negli 80 avevamo un grande vantaggio: eravamo liberi dalle ideologie. Non abbiamo odiato i comunisti né i fascisti. Abbiamo visto crollare il pentaparti­to, trasformar­si il Pci e l’Msi, nascere Forza Italia e il Pd; e tutta questa cultura politica viene liquidata con qualche frase a effetto e qualche spiritosag­gine? Si può con tanta facilità tornare all’errore del partito personale?». Insisto: ce l’ha con Renzi? O anche con Salvini e Meloni?

«Non penso solo ai politici. Dai giovani industrial­i sono usciti nel tempo Abete, Fossa, la Marcegagli­a, la Artoni; e ora? I sindaci avevano segnato un’epoca; ma adesso? Non avrei mai pensato che una nuova generazion­e al comando imputasse i nostri problemi di bilancio all’Europa e alla Merkel, e volesse tornare a battere moneta nazionale. Non eravamo quelli dell’Erasmus?».

Però non le sembra che Salvini di persona sia meglio della maschera che indossa quando va ai talk show?

«Sono tutti persone più ampie e più rotonde di quello che sembrano. Se parliamo del tema immigrazio­ne, qualcuno può considerar­la un’opportunit­à, qualcuno una disdetta; nessuno può pensare non sia necessario trovare forme di convivenza con gli immigrati». E la Meloni?

«Non mi permetto di valutare i singoli. Cerco un tratto generale. La destra può semplifica­re dicendo “mandiamoli fuori”, anziché gestire questo inevitabil­e fenomeno epocale? Il pragmatism­o e’ parte della cultura di questa generazion­e, e personalme­nte ho ancora fiducia in loro: Renzi, Salvini,

Meloni. Oggi però i quarantenn­i stanno cedendo lo scettro ai 60-70enni, e forse agli ottantenni. Se prima sembrava fondamenta­le che il politico fosse giovane; ora sembra fondamenta­le che sia maturo. Gentiloni e Mattarella incarnano la competenza, il lasciar posare i problemi per spacchetta­rli e affrontarl­i in maniera metodica. Perché loro ci riescono e i giovani no?». E i grillini?

«Si avviano alla necessaria normalizza­zione; che è un’opportunit­à, anche se a volte la vivono come un rischio. Stanno scegliendo un leader tra Di Maio e Di Battista, si dividono tra maggioranz­a e minoranza. Si può sperare che siano onesti, ma devono anche essere preparati. In pubblico lo disconosco­no, ma pure loro sanno che tenere sospeso per un paio d’anni il referendum sull’euro avrebbe conseguenz­e gravi sui mercati». I talk-show sono finiti?

«Certo che no. Quando ho iniziato ero l’unico in prima serata; poi ritornò Santoro; ora sono tantissimi. Se un prodotto si moltiplica, vuol dire che c’è domanda». Ma gli ascolti calano.

«Ballarò durava due ore e faceva

Questa generazion­e ormai è all’ultima chance Gentiloni e Mattarella invece incarnano la competenza

il 15% di media, ma eravamo all’apice dello scontro: non capita sempre che il premier sia indagato per sfruttamen­to della prostituzi­one minorile. Non era solo politica, era costume, cronaca. in una fase di normalità la politica interessa un 10% di spettatori da sempre. Le trasmissio­ni del martedì sera sono diventate due, e quel 10% L’altrace lo siamo trasmissio­nedivisi». l’hanno «E chiusa.noi siamo andati avanti, dalle 9 di e notte,un quarto aprendosin quasialle inchiestea­ll’una cultura, sull’alimentazi­one,alla filosofia, all’arte. alla Ora sport. vorrei Abbiamo parlare fatto anche come dii giornali,la pagina che politica».non hanno solo I giornali hanno un futuro?

«Tutto ha un futuro, se si inventa qualcosa. Ma non è il mio terreno». L’arrivo di Giletti?

«Più siamo meglio stiamo. Un profession­ista con un vasto pubblico farà bene anche a noi: altra gente scoprirà il numero 7 sul telecomand­o». Allora perché la Rai l’ha lasciato andare via?

«C’è un mercato, alla fine se uno vale lavora”.

Il contratto di Fazio?

«Tutti i problemi sarebbero risolti da un bollino con scritto “finanziato dal canone” sotto un programma finanziato dal canone, e da un altro bollino che sotto un programma che si paga da solo, come quello di Fazio, dicesse: “Non si spendono soldi pubblici”». Chi sono i suoi maestri?

«Non so. da ragazzo li seguivo tutti. L’ironia di Costanzo, la preparazio­ne di Lerner, le domande di Minoli, lo stile di Giuliano Ferrara, la passione di Santoro. E le interviste di Biagi». Vespa?

«Un profession­ista. Mi piacevano le sue puntate di cronaca, come quelle della Sciarelli e, all’epoca, di Augias. Ho molto ammirato l’intervista di Vespa a Grillo. Abbiamo metodi differenti di gestire la trasmissio­ne; ma vale anche per Santoro». Lei inviterà Grillo?

«Io invito tutti. Quelli che non vedete è perché non vogliono venire. Temo che Grillo non verrà». Perché?

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In tv Giovanni Floris, 49 anni

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