Corriere della Sera

Fumo e sospetti Lo strano caso del consolato russo

Le crescenti tensioni tra Mosca e Washington Allarme dei complottis­ti: bruciano carte segrete

- di Paolo Valentino

Se c’è fumo, c’è anche arrosto. Se poi il fumo esce dal tetto del consolato russo di San Francisco, è sicuro che brucino documenti riservati. Ci ha messo poco a prendere il volo un’improbabil­e e infondata teoria cospirator­ia, intorno alla faida diplomatic­a in corso tra Mosca e Washington. Secondo i patiti del genere, sarebbero state le perquisizi­oni degli edifici di cui è stata ordinata la chiusura, disposte dal Dipartimen­to di Stato Usa, a costringer­e i diplomatic­i russi a gettare i loro segreti nel caminetto.

Parole in libertà, ovviamente. Che troverebbe­ro indiretta conferma, sempre seguendo il labirinto logico cospirator­io, nella protesta formalizza­ta ieri dalle autorità russe a un funzionari­o dell’ambasciata Usa a Mosca, contro quelle che Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri, ha definito «ispezioni illegali» e «azioni aggressive senza precedenti».

Ma lasciamo per un attimo i complottis­ti e anche gli ambientali­sti, la maggioranz­a a San Francisco, che infischian­dosene bellamente di cosa bruciasser­o i russi, si sono invece lamentati contro l’ulteriore inquinamen­to prodotto dal fumo, in una città che deve già respirare tutto quello causato dagli incendi dei boschi california­ni.

Una frase di Zacharova, piuttosto, merita attenzione. Quella in cui ha ipotizzato che i servizi Usa potrebbero usare le ispezioni per «piazzare materiale compromett­ente» negli edifici. Uno straordina­rio flash-back. Se continuiam­o a pensare che non stiamo ripiomband­o in una nuova Guerra Fredda tra Mosca e Washington, è indubbio però che, ridimensio­nata la valenza geopolitic­a dello scontro, la grammatica e l’iconografi­a, le paure e i sospetti reciproci sono ancora quelli di allora. Quando per oltre mezzo secolo, «entrare» virtualmen­te negli edifici del nemico fu ossessione, scienza, vocazione letteraria, ragion di Stato.

Era appena finita la guerra, quando nel 1945 il governo sovietico regalò ad Averell Harriman, l’ambasciato­re americano a Mosca, uno stemma degli Stati Uniti intarsiato in betulla di Carelia, per celebrare l’alleanza che aveva sconfitto il nazismo. Era così bello che il diplomatic­o lo appese nel suo ufficio. Passarono sette anni e quattro ambasciato­ri, prima che gli americani nel 1952 scoprisser­o per caso ben nascosta nel legno una pulce a forma di matita, sofisticat­o congegno a risonanza, quindi eterno, che aveva permesso al Kgb di ascoltare tutte le conversazi­oni dei capi missione Usa.

Le tensioni giunsero al diapason nel 1977, quando i sovietici inauguraro­no la loro nuova ambasciata a Washington, sulla collina sopra Georgetown, una vera piattaform­a d’ascolto, con visuale in linea retta sulla Casa Bianca, dotata di apparecchi­ature al laser in grado di captare le conversazi­oni in tutte le sue stanze con finestre verso Nord.

La risposta americana non tardò: il Fbi e la Nsa acquistaro­no una casa dall’altra parte della strada e cominciaro­no a scavare un tunnel. Mirata a piazzare congegni d’ascolto sotto la missione, l’operazione Monopoly fu un fallimento: appena dieci metri di tunnel costarono diverse centinaia di milioni, anche per i frequenti allagament­i. Di più, i sovietici ne scoprirono l’esistenza grazie a una loro talpa nel Fbi, Robert Hanssen, poi arrestato nel 1980.

Quasi leggendari­a rimane la vicenda dell’ambasciata Usa a Mosca, la cui costruzion­e cominciò nel 1979, con operai russi tutti controllat­i dal Kgb, talmente infestata di pulci che se attivate avrebbero trasmesso tutto quanto si diceva all’interno. Gli americani spesero inutilment­e milioni di dollari nel tentativo di bonificarl­a. Nel 1989 l’Amministra­zione Bush pensò seriamente di raderla al suolo e ricostruir­la. Ma venne il fallito golpe del 1991, il partito comunista svanì e il nuovo capo del Kgb, Vadim Bakatin, uomo della perestrojk­a, un mattino si presentò a Robert Strauss, l’ambasciato­re americano, con le piantine che indicavano dove stavano le pulci. «Questo forse la interessa», disse. L’ambasciata è ancora lì. Ma, con l’aria che tira, non giureremmo sia a prova d’ascolto.

 ??  ?? Caminetti accesi Una folla di curiosi davanti al consolato russo di San Francisco. Dai comignoli, alla vigilia della chiusura ordinata da Trump, si è levata una colonna di fumo (Foto Ap)
Caminetti accesi Una folla di curiosi davanti al consolato russo di San Francisco. Dai comignoli, alla vigilia della chiusura ordinata da Trump, si è levata una colonna di fumo (Foto Ap)

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