L’America di Clooney
George: «Un film cattivo e divertente per raccontare il razzismo negli Usa di oggi uguale a quello di ieri» Damon: «Dinamiche che non scompariranno mai»
«Non ho dormito granché stanotte», dice George Clooney. Sua moglie Amal è rimasta in hotel per dare istruzioni alla tata dei loro due gemellini: «Dovranno diventare due brave persone, ho la responsabilità che questo accada». L’avvocatessa libanese che parla dei soprusi siriani all’Onu, e il divo americano sospeso tra glamour e impegno, devono cambiarsi per la festa in onore del film Suburbicon. Una commedia dark che incrocia il razzismo. George, in veste di regista, ha intercettato gli umori del Paese: «Volevo fare un film divertente e cattivo, il mio Paese è arrabbiato al massimo. Io sono del Kentucky, dove si rifanno le sceneggiate delle battaglie della guerra civile, la gente non capisce che i sudisti erano la schiavitù, la bandiera che simboleggia l’odio non puoi metterla in un edificio pubblico».
George è di nuovo a Venezia dopo un’assenza di quattro anni (Le idi di marzo). Le acque verdastri della Laguna sono il suo mare, qui finì di colorare l’Arcobaleno dell’amore per Amal. Come protagonista del suo film ha chiamato un vecchio amico e complice, Matt Damon, il quale aveva appena finito di girare Downsizing, che pochi giorni fa ha aperto il festival. «Matt aveva messo qualche chilo in più, era quello che ci voleva per interpretare un classico bravo padre di famiglia». Ma questo è solo l’inizio della storia, perché via via diventerà un mostro, quasi inconsapevolmente, come se il destino avesse deciso per lui. Siamo dalle parti di Fargo, il capolavoro dei fratelli Coen, che George chiama «i boys». Suburbicon nasce da un loro copione rimasto nel cassetto. Matt è al suo primo vero ruolo da cattivo: «Abbiamo simpatia per le pessime decisioni che prende, ma è più mascalzone e meno idiota rispetto al protagonista di Fargo».
Per farla breve, il modo in cui Damon vuol cambiare la sua vita si intreccia al razzismo della piccola comunità bianca in cui vive, nella Pennsylvania degli anni 50, non nel profondo Sud. «E questa è cronaca vera — dice Clooney —. Siamo partiti da fatti realmente avvenuti, dove una famiglia afroamericana
è stata avversata da proteste, recinzioni, petizioni perché se ne andasse via».
Ha ricostruito quel mondo lì, abiti ascellari, casette ordinate, ipocrisia e convenzioni del ceto medio americano, torte per i nuovi vicini di casa (purché di carnagione chiara). Adesso George spegne il sorriso e prende il sopravvento il suo impegno civile. Con una premessa: «Non è un film contro Trump». Però l’attore non nega le analogie tra l’America degli anni 50 e quella di oggi, anzi: «Quando si parla di rendere di nuovo grande il Paese, beh, lo diceva già Eisenhower, il modello era l’uomo bianco, forte. Oggi vediamo gli stessi problemi irrisolti che dobbiamo affrontare. E Trump non ha avuto il coraggio di denunciare il razzismo». Clooney è cresciuto «negli anni 60 e 70, con la speranza che scomparisse per sempre la disgregazione, dopo il peccato originale della schiavitù. Il personaggio di Matt pensa di sfangarla con i suoi privilegi, non può essere un bianco il responsabile di tutto quel sangue».
Conferma Damon: «In questo film si parla del privilegio dei bianchi. Il mio personaggio attraversa senza troppa paura il quartiere in bicicletta pur essendo pieno di sangue. Non ha paura perché sa che se lo dovessero fermare la colpa sarebbe sempre e comunque dei neri. Queste dinamiche negli Usa purtroppo non scompariranno mai». Clooney si definisce un patriota e si dice ottimista «sulle nuove generazioni». Le piacerebbe essere il prossimo presidente degli Usa? «Vorrei qualsiasi altra persona, a parte l’attuale inquilino». Stavamo dimenticando che la protagonista femminile è la grande Julianne Moore, che si sdoppia interpretando due sorelle gemelle: «Se la nuova generazione americana sarà migliore di quella presente dipenderà solo da noi. Io come cittadina sento che bisogna essere attivi in questo senso».
Dipenderà solo da noi far sì che il futuro sia meglio del presente Julianne Moore