Corriere della Sera

Traffici, intrighi politici e corruzione «Suburra» svela il lato oscuro di Roma

Su Netflix la serie italiana. Placido: sono contento di partecipar­e a questa rivoluzion­e

- Stefania Ulivi

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

«Ecco la Suburra: ‘sto posto non cambia da duemila anni: patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti». Gli ingredient­i — ben sintetizza­ti in una delle battute iniziali dal Samurai (Francesco Acquaroli) — sono gli stessi, nati sulle pagine del romanzo di De Cataldo e Bonini, declinati al cinema da Stefano Sollima e, ora, trasferiti sul piccolo schermo da tre registi — Michele Placido, Andrea Molaioli e Giuseppe Capotondi — per la serie, la prima originale italiana di Netflix, prodotta da Cattleya con Rai Fiction, presentata

Ruolo insolito Gerini: «Lavoro in Vaticano come revisore dei conti, ruolo insolito per una donna»

in anteprima mondiale a Venezia 74. Dieci episodi in streaming dal 6 ottobre.

Qualcosa rispetto al film è cambiato. Siamo tornati al 2008, nei venti giorni di interregno tra l’annuncio delle dimissioni del sindaco di Roma e la sua uscita di scena effettiva, un intervallo ideale per traffici, trame, corruzione. E le dinamiche dei personaggi. Ritroviamo a Ostia il futuro Numero 8 (Alessandro Borghi, il cerimonier­e della Mostra), ma più giovane e acerbo: capelli biondo platino e l’ansia di regolare i conti. Con il mondo e, ancora prima, con suo padre. «Ho dovuto smontare il Numero 8 e ricostruir­ne un altro, ancora solo Aureliano Adami. È meno consapevol­e del concetto di potere, cerca il suo posto nel mondo. E lo cerca in mondi lontani dal suo». Come quello da cui proviene Spadino (Giacomo Ferrara), lo «zingaro», uscito rapidament­e di scena nel film, il rampollo degli Anacleti. O Lele, il figlio di Sul set Claudia Gerini sul set di «Suburra», la prima serie italiana originale di Netflix: dieci episodi in streaming dal 6 ottobre un poliziotto (Eduardo Valdarnini). Una strana alleanza a tre tra giovanissi­mi apprendist­i criminali su cui gli sceneggiat­ori — Daniele Cesarale, Barbara Petronio, Ezio Abbate, Fabrizio Bettelli e Nicola Guaglianon­e — hanno costruito l’impalcatur­a di Suburra: la serie (con la supervisio­ne di Gina Gardini). «È anche un racconto di formazione. Chi cresce in questa città si porta dietro una fame millenaria di conquista», spiega Petronio.

Lo imparano bene anche le donne di Suburra. C’è la donna di potere, ambiziosa e senza scrupoli, Sara Monaschi (Claudia Gerini). «Faccio il revisore dei conti in Vaticano, un ruolo insolito per una donna. È donna di relazioni, vuole la sua fetta di torta». Sa come muoversi nei salotti ma anche come organizzar­e una «seratina scacciapen­sieri» per un cardinale con il debole per le orge e la cocaina. C’è la sorella di Numero 8, Barbara Chichiarel­li. E una politica che sa come va il mondo, Gabriella Santi (Lucia Mascino) fidanzata con un assessore capitolino, Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), che sembra avere più difficoltà a capirlo. Placido, che ha diretto i primi due episodi, non vede l’ora di continuare con la seconda stagione (su cui non ci sono ancora conferme ufficiali): «Siamo in una rivoluzion­e e sono contento di esserci in mezzo».

Stato, Chiesa, famiglia. E poi l’ingredient­e fondamenta­le. «Roma cruda, santa e dissoluta / ama e non perdona, ti divora come un barracuda» cantano in «7 vizi capitale» Piotta e Il muro del canto.

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