Corriere della Sera

Nella trappola di Tucidide

- Di Paolo Valentino

La trappola nordcorean­a blocca Cina e Usa. Ma uscirne è possibile.

Come da manuale delle provocazio­ni strategich­e, ieri il regime nordcorean­o ha letteralme­nte causato un terremoto nella penisola asiatica, conducendo il più potente test nucleare della sua Storia. Ancora una volta Kim Jong-un spiazza i suoi avversari con una escalation graduale e soprattutt­o massimizza l’impatto politico, scegliendo per i suoi esperiment­i da Dottor Stranamore un altro giorno di festa molto simbolico per l’America: dopo il test del missile balistico interconti­nentale del 4 di luglio, giorno dell’Indipenden­za, l’esplosione di ieri ha coinciso con il weekend del Labor Day, la festa che segna la fine della pausa estiva e il ritorno al lavoro dell’intera nazione.

Se c’era bisogno di una prova che non siamo di fronte a un pazzo, ma a un megalomane che tuttavia calcola e sfrutta con abilità la sua rendita di posizione geostrateg­ica, la bomba della domenica (all’idrogeno o meno ha un’importanza relativa) l’ha fornita al di là di ogni ragionevol­e dubbio. Grazie agli errori accumulati in trent’anni dagli Stati Uniti e dalla comunità internazio­nale, sempre oscillanti tra condanna e procrastin­azione, l’uomo nero di Pyongyang, ultimo e forse più crudele erede di una dinastia di satrapi, è ormai a un passo dall’acquisizio­ne di una piena e completa capacità atomica militare, che lo metterebbe in grado di colpire il territorio degli Stati Uniti.

Di più, come ha ammonito di recente Henry Kissinger, la sfida posta da Kim va ben oltre la minaccia all’America. Essa attiene anche alla prospettiv­a di caos nucleare che una Corea radioattiv­a potrebbe precipitar­e nell’intera regione. Paesi come Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Australia verrebbero probabilme­nte spinti a dotarsi anche

loro di armi atomiche. Ecco perché quella che va in scena nel teatro asiatico è la prima, vera crisi globale con cui si misura l’Amministra­zione Trump. Ma è anche la prima crisi in cui la retorica al testostero­ne del nuovo presidente tocca con mano i limiti della proiezione strategica americana. A dispetto dei suoi proclami, l’opzione militare contro il regime di Kim appare oggi preclusa a Trump, sconsiglia­ta perfino dai militari che la consideran­o, James Mattis dixit, «catastrofi­ca».

La ragione di questo vincolo è il convitato (per ora) di pietra dell’intera partita, la Superpoten­za cinese, fattore ineludibil­e della nuova equazione globale.

Conflitto Il rischio per Usa e Cina è di cadere in quella che è stata definita la trappola di Tucidide

Esasperata non meno degli americani dai fuochi d’artificio radioattiv­i di Kim, Pechino non vuole e non può abbandonar­e il suo protegé. Trattiene la rabbia per essersi vista rovinare la festa del vertice dei Brics. Ne subisce perfino le velate minacce, come ci racconta oggi il nostro Guido Santevecch­i. Aderisce all’embargo sul carbone, ma non taglia le forniture di petrolio come chiedono gli Usa. Cerca di convincere il leader coreano a negoziare, ma senza crederci troppo. Soprattutt­o, la Cina non avallerebb­e mai un’azione militare, temendo un crollo del regime che porterebbe ai suoi confini o il caos o ancora peggio dal suo punto di vista un’eventuale riunificaz­ione della penisola sotto insegne americane.

Al fondo, c’è la profonda sfiducia di Xi Jinping verso Trump e la potenza americana. A dispetto dell’interdipen­denza delle loro economie, il leader cinese è infatti convinto che gli Usa vogliano bloccare l’ascesa mondiale del suo Paese. In questo senso la crisi nordcorean­a altro non è che un derivato del conflitto tra Cina e Stati Uniti, sempre a rischio di cadere in quella che Graham Allison ha definito la «trappola di Tucidide», l’inevitabil­e scontro al quale due potenze, una in crescita l’altra affermata, sono condannate nella lotta per l’egemonia globale, proprio come Sparta e Atene.

Eppure, e torniamo alla saggezza di Kissinger, «un accordo tra Washington e Pechino è il prerequisi­to essenziale per la denucleari­zzazione della Corea del Nord». Un grand bargain, sostenuto da un’offerta di cooperazio­ne al regime di Kim e dall’intesa ferrea che non ci saranno rovesci di alleanze politiche. Uno scenario nel quale anche la Russia e la fin qui latitante Europa potrebbero svolgere un ruolo prezioso. Anche se questo Kissinger non lo dice.

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