Sul lago la prova d’esame tra tecno-ottimismo e flat tax (glissando sulle coperture)
Luigi Di Maio da brava recluta lo considerava un vero test di maturità, Matteo Salvini non l’ha caricato di particolari significati e Giovanni Toti si è limitato a interpretare la parte del buon amministratore regionale. L’esame-Cernobbio per i tre big delle opposizioni partiva con presupposti diversi e di conseguenza ha portato anche a esiti differenti. Si è capito che nessuno di loro vuole veramente uscire dall’euro e il referendum, in passato tanto sbandierato, è considerato da Di Maio un’arma puramente negoziale (quindi scarica) e da Salvini «qualcosa che non si può fare». Amen.
Il nemico comune è il Fiscal Compact ma le ricette economiche dei Cinquestelle e della Lega divergono radicalmente. Di Maio vuole da Bruxelles più flessibilità (come Renzi?) per finanziare gli investimenti di quella che ha chiamato la smart nation: una ricetta fatta di massicci stanziamenti pubblici canalizzati sulla tecnologia. Salvini, invece, ha intenzione di derogare dalle regole di Maastricht per introdurre la flat tax cara alla destra antistatalista. Entrambi, convinti di piegare la Ue, si prendono la libertà di glissare sulle coperture finanziarie necessarie per rendere praticabili i loro progetti. Finché è possibile sfruttano la «rendita» di stare all’opposizione.
Di Maio per rassicurare la platea filo-innovazione di Cernobbio si è mostrato un convertito all’ottimismo tecnologico, niente decrescita felice ma fiducia assoluta nelle magnifiche sorti di Internet presentato come «la più grande fabbrica di posti di lavoro». Tranne cadere in contraddizione subito dopo sostenendo che il reddito di cittadinanza serve a compensare chi perderà il posto per l’avvento dell’automazione spinta. Non si capisce quindi se le nuove tecnologie creino o distruggano jobs. Lo stesso reddito di cittadinanza è una proposta-passepartout: serve all’obiettivo di cui sopra ma anche come reddito contro la povertà. Compri due, paghi uno. Piace poi la ricetta antidisoccupazione dello spagnolo Mariano Rajoy, ma l’impressione è che i Cinque Stelle abbiano un’idea alquanto imprecisa del mercato del lavoro iberico. Al di là però delle contraddizioni di policy Di Maio voleva dimostrare ai manager di Stato presenti a Cernobbio di avere un’offerta politica competitiva e per questo ha anche promesso che il Movimento indicherà per tempo premier e squadra di governo. Operazione Lago quindi riuscita.
Salvini, dal canto suo, rappresenta un partito che amministra Lombardia e Veneto, che al governo c’è stato per lunghi anni e ha avuto anche a disposizione la golden share della politica italiana (casualmente in sala c’era anche Giulio Tremonti). Ergo con la platea di Cernobbio è stato decisamente più aggressivo di Di Maio, prima assicurando che tra un anno tornerà non più da outsider ma da uomo di governo e poi bacchettando i presenti per le culle lasciate vuote («se non fate i figli voi che avete i mezzi ...»). Il Matteo leghista si è persino presentato come guru inascoltato sostenendo che su banche, migranti, sanzioni alla Russia lui le cose giuste le aveva dette per tempo. Esami, dunque, non doveva darne e comunque ha fatto capire che tornerà da esaminatore.
Toti non si era dato grandi obiettivi e quindi ha sciorinato con serenità qualche idea sul turismo e la formazione professionale. Faccio il governatore della Liguria e parlo di quel che so, è stato il messaggio inviato in platea. Infine, in omaggio ai suoi trascorsi televisivi, Toti ha pensato bene di definire il futuro leader del centrodestra come «un’antenna per tutti».
Il vicepresidente della Camera, a differenza di Salvini, lo affronta come un test di maturità Mentre il governatore ligure parla dei temi più legati al suo ruolo