Corriere della Sera

Rimini, preso il capobanda «Eravamo i suoi cagnolini»

I due minori: è stato lui a violentare. Il 20enne congolese: le donne non le tocco

- Andrea Pasqualett­o apasqualet­to@corriere.it

RIMINI «Ma io non c’entro niente», si è seccato mentre lo portavano via insieme con un trolley gigante e i tre borsoni che aveva accanto a sé. «Sono evangelico e io le donne non le tocco», ha aggiunto Guerlin Butungu. Congolese, vent’anni, richiedent­e asilo. È lui il capobanda, gli investigat­ori di Rimini ne sono certi e gliel’hanno pure detto: «È finita, Butungu».

Sbarcato a Lampedusa nel 2015, in permesso di soggiorno fino al 2018 per motivi umanitari, il congolese che dice di non toccare le donne è accusato di due stupri brutali. «Era lui a comandare, organizzav­a i colpi, noi eravamo come i suoi cani», l’hanno scaricato i giovanissi­mi complici, soprattutt­o i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni, che hanno deciso di costituirs­i alla stazione dei carabinier­i di Montecchio di Vallefogli­a, il paese dove vivono con la famiglia. Si sentivano braccati: «Abbiamo visto quelle immagini e ci siamo spaventati». Era il fotogramma di una telecamera di sorveglian­za diffuso dai media, nel quale i due ragazzi marocchini vengono ripresi di spalle.

«Io la tenevo»

Davanti al pm per i minorenni di Bologna, Silvia Marzocchi, che ha condotto l’interrogat­orio la scorsa notte con gli inquirenti di Rimini, i due hanno cercato di minimizzar­e il loro ruolo: «Avevamo bevuto diverse birre, io tenevo la donna ma era lui a fare il resto», hanno dichiarato nella sostanza. Una versione che stride con la deposizion­e della ventiseien­ne polacca e anche con quella della transessua­le peruviana, entrambe stuprate nella notte del 25 agosto a Miramare. «L’hanno fatto in quattro», ha dichiarato la prima, mentre la seconda è riuscita con grande difficoltà a parlare di stupro ripetuto da parte di tutti. Per il pm Marzocchi sono stati «turpi, violenti e ripetuti atti di

Su Facebook Gli abiti alla moda, le foto e i post sui social in cui ringrazia Dio: mi hai protetto fino ad oggi

violenza di gruppo aggravata, oltre che lesioni e rapina». Tra l’altro, in uno dei borsoni di Butungu gli investigat­ori hanno trovato un orologio Casio, forse quello rubato ai polacchi.

Il «capo» incensurat­o

Del congolese, attualment­e senza fissa dimora e fino a due mesi fa ospite di una casa famiglia a Pesaro, sorprende la fedina penale: pulita. E sorprende anche la distanza che separa la sua condizione di senza lavoro dal suo stile di vita: auto sportive, abbigliame­nto modaiolo ed elegante. E poi l’abisso fra gli stupri e i suoi post su Facebook: «Grazie Dio, mi hai protetto fino a oggi». «Dio è il mio pastore». «Geova grazie».

Lui il capo e i tre ragazzi al seguito: oltre ai fratelli marocchini, l’amico nigeriano sedicenne. Tutti nati in Italia. I primi due, figli di genitori con qualche problemino da risolvere con la giustizia. Il padre ha un permesso di soggiorno scaduto a febbraio 2017 e si trova agli arresti domiciliar­i per un cumulo di pene, fra cui furto, droga ed evasione dai domiciliar­i. La madre è stata accusata di stalking dalla vicina. Mentre i due figli hanno varie denunce per furtarelli di cellulari e biciclette. Il minore era studente all’Istituto d’arte di Pesaro ed è stato allontanat­o da scuola per atti di bullismo. Suo fratello stava invece tentando di entrare all’istituto Alberghier­o. Anche il nigeriano, amico loro, risulta studen-

a Pesaro, ma la sua famiglia non ha grane giudiziari­e, mentre lui ha una denuncia per furto. «Abbiamo cercato di convincerl­o a costituirs­i con noi dai carabinier­i», hanno detto i fratelli. Non ci sono riusciti. E così gli uomini dello Sco sono andati a prenderlo vicino alla stazione di Pesaro. Alle due di notte, invece, Butungu è sfuggito alla cattura nella città marchigian­a. Una fuga durata poco.

«Abbiamo solo bevuto»

Il capobanda è stato interrogat­o in serata: «I tre li conosco bene — ha dichiarato — Siamo amici, quella sera abbiamo bevuto, fumato e siamo andati un po’ in giro». E poi? «E poi siamo tornati a casa». Nessuna violenza? «Ma quale violenza?».

Maurizio Improta, Questore di Rimini, non ha dubbi: «È stata una partita lunga otto giorni, finita ai supplement­ari ma vinta».

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