«La lingua dei computer serve a tutti» Esame anche per economisti e giuristi
zione logica delle discipline di cui siamo competenti: economia, matematica, statistica».
Non c’è il rischio che il vostro obbligo arrivi tardi nella filiera dell’educazione italiana? La programmazione dovrebbe essere insegnata alle scuole superiori, forse anche prima a voler essere lucidi…
Sul sito la guida a Python, il codice di programmazione oggetto di esame alla Bocconi
«Il tema è proprio questo: c’è un rischio generazionale devastante. I ragazzi che si stanno laureando adesso sono quelli che sono tagliati fuori dal punto di vista delle competenze. L’auspicio è che ci siano sempre più scuole attente a questa necessità. Ormai il tema è chiaro e io avrei tutto il vantaggio di insegnare linguaggi più evoluti».
Secondo alcuni imparare oggi il coding è talmente in ritardo che rischia di essere quasi inutile visto che a programmare saranno direttamente le macchine grazie all’intelligenza artificiale.
«Sono d’accordo che ci saranno le macchine ma il tema è che, storicamente, finanza ed economia sono science che si basano sui dati e devo sapere almeno leggerli, interpretarli. Se non lo so fare sono fuori dal mercato. Non mi aspetto che diventino computer scientist ma oggi un direttore marketing non può pensare di programmare una campagna senza usare il linguaggio dei big data».
Se guardiamo agli Usa sembra che l’economia, dopo la fase dei fondatori, abbia bisogno oggi di grandi manager che in effetti sono i più ricercati e i più pagati come il nuovo ceo di Uber. Ma da noi forse c’è più bisogno di imprenditori e startupper, cosa ne pensa?
«Sono d’accordo. Dipende dal ciclo di vita delle aziende. Negli Usa hanno bisogno dei super-manager, ma noi siamo in una fase in cui non abbiamo fatto la disruption, se non in rari casi, quindi abbiamo bisogno di imprenditorialità su una serie di fronti».
Lei ha insegnato a lungo disruption, ma ora potrebbe doverla gestire proprio in casa visto che le università non sono immuni dal cambiamento.
«Inutile negarlo: il tema della disruption c’è anche per le università. Noi stiamo già tentando di capire qual è l’esperienza dell’aula del futuro. Ad Harvard hanno fatto lo stesso programma online e offline. Alla fine nel corso digitalizzato l’apprendimento è risultato più forte. L’aula sempre di più servirà a trasferire l’esperienza e a insegnare ad ordinare la conoscenza che si trova in Rete».