RISPETTARE LE DONNE: UN DOVERE DA IMPARARE CHE VALE PER TUTTI
La nostra cultura fondamentalmente cristiana si aspetta sempre che i criminali si pentano delle loro malefatte (e che le vittime perdonino). In fretta lo si pretende, l’indomani della cattura, magari anche pronti a prendere per vero un rimorso sbandierato ai quattro venti. E diventa quindi motivo di scandalo quasi che i quattro giovanissimi malviventi — due marocchini e due africani subsahariani — responsabili dei pesantissimi fatti di violenza avvenuti sulle spiagge riminesi, non siano affatto pentiti delle loro gesta. Una semplice notte brava ( forse più di una) è stata probabilmente per loro quella notte: un po’ di botte al maschio e violenza alle femmine: devono essere cresciuti, i quattro, alla scuola del mediatore culturale magrebino sostenitore della teoria che alle donne, dopotutto, non dispiace così tanto essere stuprate. Niente di cui pentirsi, dunque, per loro, tranne che per il fatto di essere stati individuati e arrestati. Tragico è che due dei quattro, i fratelli marocchini di 15 e 16 anni, che si sono autodenunciati in caserma (per essersi sentiti braccati, non per rimorso), pur essendo nati in Italia e pur avendo qui frequentato alcuni anni di scuola, non abbiano imparato, neppure di striscio, che le donne non sono prede a disposizione di chi le vuole, anche se le si incontra al buio, anche se sono poco vestite, anche se si fermano a scambiare due parole, anche se sono prostitute, e che usare loro violenza è un delitto gravissimo. Elementi di educazione civica (purtroppo grande assente nelle nostre scuole) non pervenuti. Non pervenuti — lo sapevamo anche prima che apprendessimo i numeri delle recenti statistiche sui casi di violenza sessuale in Italia — nemmeno per molti uomini italiani. Ci si affretta sempre a sottolinearlo per paura di essere tacciati di razzismo. Ma per noi donne è forse una consolazione sapere di doverci guardare dagli uni come dagli altri?