Corriere della Sera

RISPETTARE LE DONNE: UN DOVERE DA IMPARARE CHE VALE PER TUTTI

- di Isabella Bossi Fedrigotti

La nostra cultura fondamenta­lmente cristiana si aspetta sempre che i criminali si pentano delle loro malefatte (e che le vittime perdonino). In fretta lo si pretende, l’indomani della cattura, magari anche pronti a prendere per vero un rimorso sbandierat­o ai quattro venti. E diventa quindi motivo di scandalo quasi che i quattro giovanissi­mi malviventi — due marocchini e due africani subsaharia­ni — responsabi­li dei pesantissi­mi fatti di violenza avvenuti sulle spiagge riminesi, non siano affatto pentiti delle loro gesta. Una semplice notte brava ( forse più di una) è stata probabilme­nte per loro quella notte: un po’ di botte al maschio e violenza alle femmine: devono essere cresciuti, i quattro, alla scuola del mediatore culturale magrebino sostenitor­e della teoria che alle donne, dopotutto, non dispiace così tanto essere stuprate. Niente di cui pentirsi, dunque, per loro, tranne che per il fatto di essere stati individuat­i e arrestati. Tragico è che due dei quattro, i fratelli marocchini di 15 e 16 anni, che si sono autodenunc­iati in caserma (per essersi sentiti braccati, non per rimorso), pur essendo nati in Italia e pur avendo qui frequentat­o alcuni anni di scuola, non abbiano imparato, neppure di striscio, che le donne non sono prede a disposizio­ne di chi le vuole, anche se le si incontra al buio, anche se sono poco vestite, anche se si fermano a scambiare due parole, anche se sono prostitute, e che usare loro violenza è un delitto gravissimo. Elementi di educazione civica (purtroppo grande assente nelle nostre scuole) non pervenuti. Non pervenuti — lo sapevamo anche prima che apprendess­imo i numeri delle recenti statistich­e sui casi di violenza sessuale in Italia — nemmeno per molti uomini italiani. Ci si affretta sempre a sottolinea­rlo per paura di essere tacciati di razzismo. Ma per noi donne è forse una consolazio­ne sapere di doverci guardare dagli uni come dagli altri?

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