Corriere della Sera

Il mare profondo di Fabio

- Di Paolo Foschini

Ce lo abbiamo avuto tutti quel problema. Pino il contadino ha venti galline che fanno dieci uova al giorno, ma una mattina scopre che cinque sono scappate dal pollaio e cinque le ha fatte fuori la volpe: quante uova porterà Pino al mercato quel giorno? Ed è capitato a tutti, con un problema del genere, di chiedere aiuto almeno una volta a un nonno, a uno zio, a qualcuno. Uno che sempliceme­nte ci desse la risposta, senza tutta la menata teorica, e poi via a giocare.

Ma invece oggi. Oggi che siete grandi, dite, quanto paghereste per aver avuto tanti anni fa uno zio che anziché darvi quel numero aritmetico avesse solo gridato con quanto fiato aveva che «Pino è un coglione!» e l’indomani si fosse catapultat­o a scuola come una tempesta, avesse ricoperto la vostra maestra di insulti e bestemmie toscane, e l’avesse occupata lui la cattedra, per insegnare una buona volta a tutta la classe di voialtri bambini («ma cosa vi raccontano a scuola?») come si costruisce un pollaio a dovere, con due giri di filo spinato, meglio tre, e adesso già che ci siamo passiamo all’orto, dunque, i pomodori... eh? Cosa dareste per avere tra i vostri ricordi d’infanzia, tra tutte le esperienze lontane che hanno fatto di voi quel che siete, anche la memoria di uno zio e una giornata del genere?

Bene, se immaginate potete capire. Perché anche se allora gli era parsa ovviamente una catastrofe di fronte a tutti i suoi compagni a Fabio è toccata, quando aveva sei anni, una fortuna così. E non solo quella. A lui che di nonni ne aveva uno vero più un’altra decina, mica due come tutti. Perché nessuno dei fratelli del nonno vero, tutti con nomi inizianti per A e vai a saper come mai, si è mai sposato né ha avuto figli. E perciò adesso son tutti lì attorno a quel nipotino, a rubarselo a vicenda per portarlo a pesca, a caccia, a rubar la frutta, a fare questo e quell’altro, e ogni volta un’avventura, ma sempre e in ogni caso tra adulti, in mezzo ai loro nonneschi caratteri di fuoco e di sangue, follia e fantasia. Esito inestirpab­ile della scoperta tremenda giunta alle orecchie del piccolo Fabio prima come mormorio di paese, poi come voce più forte, infine mestiere «aggiusta le cose». Aggiusta tutto, qualsiasi cosa si rompa in paese e dal paese fin quasi a Lucca lui prende gli attrezzi e la aggiusta. E soprattutt­o è bellissimo. Talmente bello che potrebbe essere Little Tony se non fosse che in realtà si chiama Giorgio, che come le donne del paese sanno bene «è il nome perfetto perché per dirlo devi stringere le labbra come quando stai baciando qualcuno». Invidiose senza speranza, Giorgio è di sua moglie e basta.

E poi ci sono i personaggi dell’universo intorno, gli altri bambini con le loro curiosità e crudeltà, la bimba cattiva che non ti invita alle feste ma soprattutt­o quell’altra, così bella e profonda, vestita da coccinella, che sembra uscita da una poesia di Tonino Guerra.

Insomma questa lunga introduzio­ne è per dare un’idea del mondo in cui si muove Fabio Mancini, protagonis­ta semiautobi­ografico — se non altro per la collocazio­ne toscana, il racconto in prima persona, il nome del narratore, ma soprattutt­o per il tema di cui si dirà e cui fa da pretesto la trama — del nuovo romanzo di Fabio Genovesi, Il mare dove non si tocca (Mondadori). Una suc-

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