Il numero
cessione di capitoli che nella vita del piccolo Fabio coprono gli anni tra le elementari e l’inizio delle medie, e dove ogni capitolo potrebbe essere un racconto perfettamente compiuto in sé: una sequenza di ricordi e dettagli vivi come foto, che potrebbe andare avanti per mille pagine come sarebbe il racconto della vita di qualsiasi uomo quando è raccontata bene, senza una vera rilevanza rispetto al come andrà a finire. Lo scorrere per lo scorrere, chissenefrega della fine, una pagina in più sarà sempre meglio dell’ultima e se anziché finire si potesse ricominciare sarebbe perfetto.
Anche qui se non fosse, quanto a trama, per due elementi. Il primo è ovviamente che il personaggio protagonista è un bambino, il quale via via cresce e impara cose. Quindi un romanzo di formazione classico, su questo non c’è molto da aggiungere. Il secondo è che a un certo punto, invece, di cose ne capita una su tutte le altre. E diventa quella attorno a cui ruoterà, da lì in poi, la vita intera della famiglia ma soprattutto la sua, di Fabio. Una cosa che, senza che lui veramente compia una scelta ma semplicemente perché non riuscirà a fare altro, gli insegnerà l’importanza miracolosa di quello che — e ci siamo arrivati — è appunto il tema del libro stesso. Il raccontare.
Perché poi sono tutti dei raccontatori, questi Mancini.
Perfino gli zii pazzi disprezzatori della scuola — che però avevano trasformato Fabio in lettore già quasi in fasce, ritagliando per lui alfabeti di lettere a centinaia, falce e martello compresi — ma a loro volta grandi insegnatori e tramandatori di storie. Consapevoli d’istinto che il raccontare è una tecnica da allenare, come la sera in cui misero il piccolo Fabio sul mobile della tv, dopo averla rotta con un pugno: raccontacela tu una storia, gli dissero, e quando lui cominciò presero a correggerlo man mano, anche la nonna, come una squadra di coach ai bordi di un ring, dai, più emozione, mettici più dettagli, ma no!, ma no!, ecco, questo sì, ora vai avanti... All’insegna dell’antichissimo principio per cui la vita acquista senso quando riesci a dare nome e racconto alle cose, ed esercitarsi a raccontarla è la via per conoscerla e conoscersi. E per averne cura e persino guarirla, a volte.
Purché dietro il racconto la vita vera ci sia. Come dice lo zio Aldo, a cui come agli altri suoi fratelli mancano diverse falangi qua e là, quando spiega a Fabio che se di dita ne abbiamo dieci c’è un motivo: «Quando un uomo muore, per sapere se ha vissuto veramente basta guardargli le mani. San Pietro te le controlla, e se hai ancora tutte le dita attaccate ti dice “Ma cosa hai fatto te con la vita che ti abbiamo dato?”. Nulla hai fatto, l’hai buttata via. E allora giù, all’Inferno. Perché se esiste un peccato grave, è non aver vissuto».
D’altronde poi per vivere non serve chissà cosa. Giorgio per esempio, l’aggiustatore, il babbo di Fabio, è l’unico personaggio del libro che in pratica parla solo una volta. Per il resto sta sempre zitto, di solito racconta aggiustando. A parte quell’unico, breve, racconto in parole. Che qui non si trascrive, figuriamoci, salvo la sua conclusione troppo bella per tenersela: «Mi garba stare al tavolino come stasera, seduto comodo con un bel bicchiere di vino fresco, a guardare il mio figliolo che mangia tutto il gelato che vuole. Mi garba tantissimo». Praticamente è niente. Ma dite voi se è poco. ● Il nuovo numero de «la Lettura» resterà in edicola fino a sabato 9 settembre al costo di 50 centesimi. Il voto dedicato agli scrittori preferiti continua sugli account social dell’inserto con l’hashtag #ilpiùgrande oltre a #vivalalettura: su Twitter (@La_Lettura), su Instagram (@la_lettura) e sulla pagina Facebook
Memoria Ogni capitolo potrebbe essere un racconto compiuto in sé: una sequenza di ricordi e dettagli vivi come foto
● Dall’alto: Alessandra Sarchi (Brescello, 1971), autrice di La notte ha la mia voce (Einaudi Stile libero); il premio Strega Alessandro Piperno (Roma, 1972), autore di libri come Inseparabili e Dove la storia finisce (Mondadori); Marcos Chicot (Madrid, 1971; foto di Amador Toril) autore di L’assassinio di Socrate (Salani)