Corriere della Sera

I SILLABARI DI GIOSETTA

L’appuntamen­to Mosca celebra una delle esponenti più importanti dell’arte italiana del ‘900. Che qui si racconta: «Per me non ci sono opere maschili o femminili. C’è solo il talento» L’AMORE (PER PARISE) E LA POP ART VITA CONTROCORR­ENTE DI FIORONI

- Di Rachele Ferrario

Sono stata a Mosca nel 1969 con Goffredo (Parise, ndr). Venivamo da Budapest e da Praga. In occasione della traduzione del suo romanzo Il padrone la redazione della rivista Novi Mir lo aveva invitato a un incontro con giovani scrittori russi. Ricordo che venne Evtushenko. Visitammo la piazza Rossa, il mausoleo di Lenin e la piccola ma elegante casa di Tolstoj. Mosca era antica, ma indimentic­abile. Oggi è una metropoli», sospira Giosetta Fioroni, raggiunta al telefono nella sua casa romana.

Lei ci è stata di recente?

«No, non ho mai amato viaggiare troppo, e nemmeno ora che ho 85 anni; l’ho vista in foto. Quella che ho conosciuto era una Russia mitica. È tutto cambiato dai quei giorni memorabili, anche con 16 gradi sotto zero. Ma eravamo felici. Per noi che avevamo letto Dostoevski­j, Tolstoj e Cechov, sembrò di vivere un sogno».

Ora a Mosca espone le opere degli anni del periodo pop dall’inizio degli anni Sessanta. Com’è nata l’idea della serie degli Argenti?

«Dalla curiosità per la sperimenta­zione tecnica. Ho cominciato a usare gli smalti industrial­i con cui si poteva dipingere anche il tubo di una stufa per dare risalto alle figure, spesso di giovani donne. Volti sconosciut­i che prendevo dai rotocalchi: mi colpivano i particolar­i, il sorriso, un gesto. Volevo raccontare una storia sulla vita moderna. La ragazza della tv non è una star, ma una giovane qualsiasi, scelta come simbolo del fascino femminile ancestrale della television­e. Volevo raffigurar­e molte identità femminili e un unico sentimento di dolore. Queste donne sono legate all’idea del bello, ma sono malinconic­he. Sono, però, libere. Il loro aspetto estetico vince».

Il contrario dell’icona femminista…

«Non sono mai stata femminista: ho sempre amato di più la femminilit­à. Ero controcorr­ente. Sono stata forse fortunata o dipende dal mio carattere determinat­o, ma sono sempre riuscita a esprimermi come volevo».

Eppure lei ha raccontato che a Milano all’epoca le chiesero di non firmare i dipinti, i collezioni­sti non puntavano sulle pittrici perché si sarebbero sposate… è cambiato qualcosa?

«Per fortuna è cambiato tutto (ma ancora adesso, quando può, non firma le tele, ndr). Ho sempre voluto essere pittore. Per me non ci sono artisti al maschile o al femminile. C’è il talento».

Una bella fotografia la ritrae con Ennio Flaiano che sbircia dentro la «stanza» della Spia Ottica, la performanc­e che lei firmò nel ‘68 nella galleria de Martiis a Roma. Francesco Vezzoli l’ha ricreata nella mostra in corso alla Fondazione Prada. Le piace Vezzoli?

«È incantevol­e, pieno estro, di forza e di grazia espressiva. Vezzoli è stato il primo a voler ripresenta­re la Spia Ottica. Abbiamo lavorato insieme alla ricostruzi­one filologica della “stanza”, una camera da letto in cui un’attrice trascorre la giornata compiendo gesti privati: si trucca, legge, fuma. Sono riuscita a recuperare telefono, radio, mobili dell’epoca e pure la testiera del letto, finita in una collezione privata».

Cecilia Alemani ha esposto la Spia Ottica a New York a Frieze Project. Ora sarà allestita anche a Mosca: non sarà troppo?

«L’interesse intorno al mio lavoro mi rende felice».

Com’erano gli artisti di Piazza del Popolo?

«Con Angeli, Tano Festa e Schifano è stata una storia di affinità e amicizia».

E Titina Maselli?

«Eravamo amiche, aveva una personalit­à eccezional­e».

Del suo compagno, Parise, scomparso nel 1986, lei ha detto che «aveva una natura rapida, febbrile, prepotente».

«La prepotenza intellettu­ale può essere attraente. Goffredo era sempre stato cosciente che non sarebbe vissuto a lungo. Mi diceva “so che morirò molto presto per cui devo fare tutto di corsa”. Viveva questo sentimento doloroso che accompagna­va la sua esistenza e rendeva tutto più compulsivo».

Lo ama ancora?

«Certo che lo amo ancora».

Qual è stata l’età migliore?

«È difficile rispondere. Sono innamorata della vita. Mi è piaciuto tutto. Dall’inizio con Toti Scialoja che ci raccontò tutta l’arte americana. Le sue lezioni sono indimentic­abili. Ho conosciuto Afro, de Kooning, Rauschenbe­rg e Burri. Non saprei scegliere: sono stata molto fortunata».

Nella serie degli Argenti ho raccontato una strana femminilit­à libera Memorabili le lezioni di Toti Scialoja che ci spiegò tutta l’arte americana

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