Sgomberi e migranti nel corto «profetico» di Papou
Daniel è un giovane agente del reparto mobile della Polizia di Stato. Un celerino. Italiano di seconda generazione: è nato a Roma, da genitori africani. Il suo mestiere gli piace, sopporta anche le battute sceme dei colleghi («Ti vedo pallido stamattina»). Un giorno la sua squadra riceve l’incarico di sgomberare un palazzo occupato. Daniel lo conosce bene: in un appartamento lì dentro vivono sua madre e suo fratello.
Cosa succederà a Daniel e ai suoi familiari lo racconta Il legionario, il cortometraggio firmato dal venticinquenne Hleb Papou. Si tratta del suo saggio di diploma al Centro sperimentale di cinematografia, che lo ha prodotto e presentato a Venezia tra i sette titoli della seconda edizione della sezione Sic@Sic, quella che la Settimana della critica dedica agli autori che non sono ancora approdati al lungometraggio.
Un palazzo sgomberato nel cuore di Roma, famiglia per strada, poliziotti in azione: l’atmosfera del corto rimanda alle cronache dei giorni scorsi, ai fatti romani di piazza Indipendenza. Papou è nato in Bielorussia e naturalizzato italiano. Si è laureato al Dams e diplomato nel 2016 al Csc; un corto, il suo primo, The red forest, è stato selezionato al Short film corner del festival di Cannes.
Anche il regista è colpito dalla coincidenza, ma, racconta, di fronte alle immagini viste in televisione non si è stupito troppo. «Il legionario, sceneggiato con Giuseppe Brigante, Emanuele Mochi — i tre hanno appena vinto il premio Mutti della Cineteca di Bologna, 18 mila euro per un nuovo lavoro — è nato dall’osservazione diretta. Della vita dei poliziotti del reparto mobile di Roma e della realtà, complessa e antica, delle occupazioni di case a Roma».
Lo hanno girato tra il Quarticciolo, la sede del Csc e la caserma dei vigili del fuoco. «Attraverso i due fratelli, l’occupante e il celerino — dice — mostriamo entrambe le facce, senza furbizie o stereotipi».