L’inaspettata oasi di bontà di Guédiguian
Avolte i film di Robert Guédiguian sembrano venire da un altro mondo, più accogliente e comprensivo: non hanno l’ambizione delle utopie di fronte ai mali del pianeta ma piuttosto la funzione di un filtro, capace di lasciar passare solo cose belle e messaggi ottimistici. Così è La villa, ieri in concorso al Lido, dove l’improvviso ictus del vecchio padre favorisce l’incontro dei tre figli che non si frequentano da tempo: il timido ristoratore Armand (Gérard Meylan), il sarcastico giornalista Joseph (JeanPierre Darroussin) e la rabbiosa attrice Angela (Ariane Ascaride). Si ritrovano nella villa che il genitore aveva fatto costruire in una piccola baia nei pressi di Marsiglia dove i rancori e le tensioni finiscono ben presto per sciogliersi nel ricordo dei vecchi insegnamenti paterni, ricchi di quella comprensiva solidarietà e di quel comunismo umanitario che Guédiguian ha spesso esaltato nelle sue opere precedenti. A volte il film prende strade improbabili (l’amore tra Angela e un pescatore locale che l’avrebbe aspettata da vent’anni e che — per amore — ha imparato intere pièce a memoria), altre volte un po’ superficiali (l’incontro con tre bambini sopravvissuti a un naufragio di migranti) ma poi sa riscattare queste ingenuità con autentici tocchi di commozione (la scelta di una vecchia coppia di amici di abbandonare la vita insieme) o di poesia (il gioco dell’eco sotto i grandi pilastri della strada ferrata). E alla fine non puoi che uscire commosso da questa inaspettata oasi di bontà, dove almeno per la durata di un film ti sembra di poter ritrovare quell’armonia e quella comunione di intenti che invano cercheresti in opere più ambiziose ma anche meno coinvolgenti.