Motorino, wifi e meccanico di fiducia: dopare una bici è facile
Le ruote truccate costano 10 mila euro, il ruolo della polizia doganale per stroncare il traffico vietato
Dunque i famosi (e costosi) tablet con cui gli ispettori dell’Unione Ciclistica Internazionale rincorrono (senza raggiungerli) i dopati tecnologici del ciclismo professionistico servono a poco o nulla. L’assenza di un solo «positivo» dopo 42 mila controlli non è segno di virtuosismo ma di inefficienza del sistema. Dopo l’anticipazione del Corriere della Sera, ieri il settimanale della tv pubblica francese Stade 2 ha dimostrato in un reportage come sia quasi impossibile rintracciare un motore nel telaio della bici senza tecniche sofisticate di analisi come i raggi X. Interferenze a parte (mandano in confusione i tablet con false positività), è sufficiente schermare il cilindro del propulsore con un materiale non ferroso per ridurne al minimo le emissioni magnetiche e «accecare» il tablet.
Risultato: i 40 watt forniti al pedale da un motorino minuscolo e invisibile bastano a stravolgere i valori in campo in salita. Tra i grandi team, che ingaggiano osservatori per controllarsi a vicenda, circolano video imbarazzanti: ruote che girano da sole, prestazioni superbe di corridori oversize, frequenze di pedalata innaturali. Veleni di cui l’ambiente non ha bisogno.
Dopare una bici non è difficile. Basta un meccanico di fiducia: nei passaggi di squadra alcuni atleti top rinunciano a compagni fidati ma raramente al meccanico. I motorini (con relative batterie) sono la parte più banale: il modellismo ne offre piccoli, sofisticati e potenti con la caratteristica (fondamentale) di poter essere azionati senza cavi via wifi, bluetooth o Ant, il sistema di trasmissione dati a corto raggio degli strumenti di misura delle prestazioni sportive. La maggior parte delle bici ha tubi così ampi da permettere al motorino di essere collegato alla pedaliera. Per chi invece ha bisogno di un «clone perfetto» di una bici di squadra fuori misura, in Italia (Lombardia, Veneto e Toscana ma anche San Marino) maghi della fibra di carbonio ne realizzano copie indistinguibili con alloggiamenti per il propulsore. Dove si trovano pulsanti «on» e «off» e il variatore di potenza? Sostituiti dal computer di bordo, che rileva in automatico la spinta effettiva sui pedali e la «trucca» quel tanto (+5/10%) che serve per andare più forte senza insospettire.
Discorso diverso per le ruote a induzione magnetica. Costano il triplo di un kit motore (20 mila euro contro 6/7 mila), arrivano direttamente da produttori taiwanesi sotto forma di clone di quelle commerciali, piazzate sul mercato da pochissimi intermediari. Montecarlo è il posto perfetto per acquistarne una.
Ma come si può combattere efficacemente un fenomeno che rischia di snaturare il ciclismo? Di sicuro con regole più ferree: il controllo preventivo, anche ai raggi X, e la punzonatura di bici e componenti utilizzate in corsa, comprese quelle (caricate sulle seconde o terze ammiraglie) che adesso sfuggono a ogni esame. Ma anche con un lavoro d’intelligence. In Francia l’unità antifrode della polizia doganale è già al lavoro. L’assenza di omologazione delle bici (ovviamente fuori commercio e spesso importate clandestinamente) consente agli agenti di provvedere a perquisizioni e sequestri e di capire a chi sono destinate.