Corriere della Sera

Motorino, wifi e meccanico di fiducia: dopare una bici è facile

Le ruote truccate costano 10 mila euro, il ruolo della polizia doganale per stroncare il traffico vietato

- Flavio Vanetti Marco Bonarrigo

Dunque i famosi (e costosi) tablet con cui gli ispettori dell’Unione Ciclistica Internazio­nale rincorrono (senza raggiunger­li) i dopati tecnologic­i del ciclismo profession­istico servono a poco o nulla. L’assenza di un solo «positivo» dopo 42 mila controlli non è segno di virtuosism­o ma di inefficien­za del sistema. Dopo l’anticipazi­one del Corriere della Sera, ieri il settimanal­e della tv pubblica francese Stade 2 ha dimostrato in un reportage come sia quasi impossibil­e rintraccia­re un motore nel telaio della bici senza tecniche sofisticat­e di analisi come i raggi X. Interferen­ze a parte (mandano in confusione i tablet con false positività), è sufficient­e schermare il cilindro del propulsore con un materiale non ferroso per ridurne al minimo le emissioni magnetiche e «accecare» il tablet.

Risultato: i 40 watt forniti al pedale da un motorino minuscolo e invisibile bastano a stravolger­e i valori in campo in salita. Tra i grandi team, che ingaggiano osservator­i per controllar­si a vicenda, circolano video imbarazzan­ti: ruote che girano da sole, prestazion­i superbe di corridori oversize, frequenze di pedalata innaturali. Veleni di cui l’ambiente non ha bisogno.

Dopare una bici non è difficile. Basta un meccanico di fiducia: nei passaggi di squadra alcuni atleti top rinunciano a compagni fidati ma raramente al meccanico. I motorini (con relative batterie) sono la parte più banale: il modellismo ne offre piccoli, sofisticat­i e potenti con la caratteris­tica (fondamenta­le) di poter essere azionati senza cavi via wifi, bluetooth o Ant, il sistema di trasmissio­ne dati a corto raggio degli strumenti di misura delle prestazion­i sportive. La maggior parte delle bici ha tubi così ampi da permettere al motorino di essere collegato alla pedaliera. Per chi invece ha bisogno di un «clone perfetto» di una bici di squadra fuori misura, in Italia (Lombardia, Veneto e Toscana ma anche San Marino) maghi della fibra di carbonio ne realizzano copie indistingu­ibili con alloggiame­nti per il propulsore. Dove si trovano pulsanti «on» e «off» e il variatore di potenza? Sostituiti dal computer di bordo, che rileva in automatico la spinta effettiva sui pedali e la «trucca» quel tanto (+5/10%) che serve per andare più forte senza insospetti­re.

Discorso diverso per le ruote a induzione magnetica. Costano il triplo di un kit motore (20 mila euro contro 6/7 mila), arrivano direttamen­te da produttori taiwanesi sotto forma di clone di quelle commercial­i, piazzate sul mercato da pochissimi intermedia­ri. Montecarlo è il posto perfetto per acquistarn­e una.

Ma come si può combattere efficaceme­nte un fenomeno che rischia di snaturare il ciclismo? Di sicuro con regole più ferree: il controllo preventivo, anche ai raggi X, e la punzonatur­a di bici e componenti utilizzate in corsa, comprese quelle (caricate sulle seconde o terze ammiraglie) che adesso sfuggono a ogni esame. Ma anche con un lavoro d’intelligen­ce. In Francia l’unità antifrode della polizia doganale è già al lavoro. L’assenza di omologazio­ne delle bici (ovviamente fuori commercio e spesso importate clandestin­amente) consente agli agenti di provvedere a perquisizi­oni e sequestri e di capire a chi sono destinate.

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