Corriere della Sera

Valori e rispetto delle donne Ecco le regole per i rifugiati

Leschi guida l’Ufficio immigrazio­ne: è un processo lungo, qui dura cinque anni

- Di Fiorenza Sarzanini Montefiori

Ci dovrà essere «il rispetto dei valori fondanti dell’Italia». Dunque, anche quello per le donne. Questo uno dei punti fondamenta­li contenuti nel «Piano per l’integrazio­ne» degli stranieri che il Viminale sta mettendo a punto in queste ore. E che comprende anche corsi di italiano. Il piano, ha detto il ministro dell’Interno, Marco Minniti, sarà approvato entro metà settembre.

«Vorremmo che l’integrazio­ne si facesse subito, in cinque giorni. Invece è un processo lungo (nell’arco di cinque anni, ndr) e per alcuni la difficoltà maggiore riguarda il rapporto tra uomo e donna. Insistiamo molto su questo». Didier Leschi dirige da due anni l’Office Français de l’Immigratio­n et de l’Intégratio­n (Ofii), l’agenzia governativ­a incaricata di seguire gli stranieri arrivati in Francia.

In che cosa consiste il «Contratto di integrazio­ne repubblica­na» varato nel luglio 2016?

«Si rivolge a tutti quelli che arrivano per la prima volta, cioè ogni anno circa 160 mila persone in modo legale, più 30 mila richiedent­i asilo. Chi lo firma si impegna a rispettare i valori della Repubblica. Poi si sottopone a un test sul livello linguistic­o, e a seconda dei risultati lo orientiamo in classi dove seguirà 240 ore di lezioni di francese».

È il suo Ufficio che se ne occupa?

«Sì, ci incarichia­mo anche delle visite mediche, che comprendon­o una radiografi­a polmonare. Poi viene fatto una sorta di bilancio profession­ale e sociale della persona, per orientarla verso il lavoro o la formazione. L’aspetto importante e preliminar­e è comunque quello culturale».

Cioè?

«Accanto ai corsi di lingua cerchiamo di far scoprire la società francese, le basi della Repubblica, della storia di Francia, della laicità».

Può già fare un bilancio di questo «Contratto»?

«Quel che possiamo dire è che questi dispositiv­i sono l’innesco di un processo di integrazio­ne che per forza di cose è lungo. E insistiamo molto sulla parità uomo-donna».

È una questione che riguarda soprattutt­o chi arriva dal mondo arabo-musulmano?

«Non direi questo. La difficoltà oggi è che in Francia e in Italia giungono giovani uomini soli, mentre prima erano soprattutt­o famiglie. Giovani afghani, o sudanesi: ci facciamo carico della loro salute, della formazione profession­ale, della conoscenza della lingua, ma c’è qualcosa che non possiamo fare, perché è difficile e perché non esiste una politica pubblica su questo, ed è la questione della sessualità. Finché questi giovani non riescono a socializza­re, per loro è un problema».

C’è una differenza di fondo tra Francia e Italia?

«Posso dire che il nostro problema specifico è che se una persona ottiene lo status di rifugiato, sta peggio di quando lo chiedeva. È un paradosso legato al mercato del lavoro e dell’alloggio. I richiedent­i asilo sono ospitati nelle strutture e prendono sussidi, ma da rifugiati perdono questi diritti».

Il paradosso è che chi ottiene lo status di rifugiato sta peggio di quando lo chiedeva

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