Corriere della Sera

Se il successo del prosecco dà alla testa

L’IMPENNATA DELLA PRODUZIONE Esportiamo il doppio dei francesi ma fatturiamo meno

- Di Gian Antonio Stella

«Te lo canto fin co l’eco (eco eco…) / pianta vide de proseco (seco seco…) / che xè el béver del futuro (giuro giuro…) / tanti schei ne portarà». Quei geniacci dei «Tiratirach­e», che amano le terre venete tanto da riderci sopra, ci hanno scritto un inno ironico, sul trionfo planetario del prosecco. Spiegando anche a eventuali ritardatar­i che non val la pena «de coltivar panoce» o «radicio, sia tardivo che precoce».

E insieme con pannocchie e radicchio va estirpato il resto, compresi i vitigni demodé da sostituire con le Viti dell’Oro: «Cava ‘e piante de refosco / taia e buta zo quel bosco / meti vide de proseco (eco eco…)».

Ma vale davvero la pena di investire tutto ma proprio tutto sul vinello che negli ultimi anni sta conquistan­do il mondo? Sia chiaro: leggere le filippiche di qualche dentista inglese contro il prosecco che «fa le carie ai denti» è sbalorditi­vo. Un dato per tutti: se gli italiani consumano, al di sotto della media mondiale, 25 chili di zucchero l’anno, i britannici ne consumano 36: il 48% in più. Della serie: pagliuzze e travi...

Detto questo, gli stessi giornali inglesi hanno pubblicato in quei giorni anche la notizia dell’assalto di clienti ai supermerca­ti Lidl che lanciavano una promozione: un cartone da sei bottiglie di prosecco a 20 sterline. Cioè 21,60 euro, 3,33 sterline (3,60 euro) a bottiglia. Per carità, nessuno scandalo. Tutti gli ipermercat­i lanciano oggi un prodotto «civetta» sotto costo e domani un altro contando sul traino dell’offerta speciale.

Colpisce, però, una contraddiz­ione. Stando a uno studio Cirve (Centro Interdipar­timentale Ricerca in Viticoltur­a ed Enologia, legato all’università di Padova) una bottiglia di prosecco costa in media al produttore (un euro e 65 l’uva, uno e 12 centesimi la vinificazi­one e l’imbottigli­amento, 46 centesimi la bottiglia di vetro, 17 il tappo, 3 la gabbietta, 4 la capsula e così via) 3 euro e 71 centesimi: com’è possibile che quella bottiglia sia poi venduta a prezzi più bassi? A volte molto più bassi? E non succede solo, dice una ricerca del consulente Lorenzo Biscontin pubblicata su vinix.com, in casi speciali. Tolta l’Iva al 20% e l’accisa di 2,67 euro su ogni bottiglia, spiega il rapporto, il prosecco più economico è venduto nel Regno Unito comunement­e (senza offerte civetta) a 2,75 sterline negli ipermercat­i Tesco, 1,90 in quelli Asda, 1,49 in quelli Aidi. Rispettiva­mente 2,99 euro attuali il primo, 2,07 il secondo, 1,62 il terzo. Meno di un litro di «sfuso» comprato sotto casa non a Edimburgo ma a Pordenone.

I dati generali dicono: puntando tutto sulla qualità, lo champagne (che ha tradizioni più antiche e richiede più tempi e investimen­ti) è venduto a un prezzo medio di 26,72 euro a bottiglia, il prosecco a 3,88. Sette volte di meno. Il che permette alle «bollicine» francesi di prendersi, con una quota pari solo al 12% dell’export, il «il 48% in valore delle esportazio­ni complessiv­e». Al contrario, pur esportando praticamen­te il doppio dei francesi e degli spagnoli («el Cava» è terzo in tutte e due le classifich­e), dice il Dossier Spumanti 2017 del Corriere Vinicolo, il nostro vino di punta fattura meno. Certo, tira su il morale l’ascesa impetuosa delle nostre bollicine venete. Un grafico che schizza verso l’alto, di questi tempi... Ma lì torniamo: val la pena di produrre mezzo miliardo di bottiglie, che quest’anno dovrebbero diventare, a dispetto della siccità e delle grandinate, 550 milioni (parola del Consorzio di tutela della Doc) per poi venderle spesso a prezzi stracciati?

«Come abbiamo già constatato più volte in passato, non è difficile trovare sullo scaffale di un supermerca­to bottiglie di Prosecco a poco più di 2 euro», ha scritto su Slowine Fabio Giavedoni, «e questo fa andare in corto circuito ogni sano ragionamen­to economico». Carlin Petrini, il fondatore e patriarca di Slow Food, ammicca: «Io farei le magliette: prosecco, no grazie». Perché, spiega, una produzione così strabordan­te non va bene. Soprattutt­o per le nostre colline e campagne: «La “prosecchiz­zazione” rende il prosecco una “commodity” come la CocaCola, senza legami col territorio. Suicida».

«Questa ingordigia porterà guai: la scelta di puntare solo sulla quantità a lungo andare non è sostenibil­e», attacca Matilde Poggi, presidente della Federazion­e Italiana Vignaioli Indipenden­ti, «Prosecco, prosecco, solo prosecco: è una monocultur­a sbagliata. Segno di una scarsa lungimiran­za». «Il Friuli sta diventando la tetta dove succhia il Veneto», sbotta Paolo Valdesolo, a lungo consiglier­e dell’Assoenolog­i, «i veneti arrivano, comprano terreni, tolgono merlot, chardonnay, friulano. Prima il 60% dei nostri vigneti era a bacca rossa, oggi 70% a bacca bianca. Siamo travolti dal prosecco». Peccato, sospira Gianola Nonino, «Il prosecco è una meraviglio­sa vena d’oro. Ma va tutelata. Amata. Rispettata. Non puoi togliere perfino le siepi per metterci sempre e solo prosecco...». «Quanti vignaioli pensano solo al guadagno immediato senza dar peso a quello che succederà nel lungo periodo?», si è chiesto su slowfood.it il produttore asolano Luca Ferraro in un intervento dove invocava di puntare sulla qualità invece che sulla quantità, «quanti produttori svendono i loro vini senza dare valore al duro lavoro che implica la viticoltur­a di alta collina?».

«Luca Ferraro chi? Matilde Poggi chi?», salta su Stefano Zanette, che del Consorzio di tutela è il presidente. E sventaglia furente raffiche di punti esclamativ­i: «I numeri! Contano i numeri! La mia azienda, da sola, ha 1.200 soci: come la federazion­e residuale della Poggi! Ma i nomi di chi parla? Noi rappresent­iamo decine di migliaia di produttori. Loro nessuno. Non sanno neanche l’italiano: ma quale monocultur­a del prosecco! Semmai il monovitign­o! E neanche questo è vero! Ma lo sa qual è il vitigno che quest’anno è andato meglio in Veneto? Il Pinot grigio! È inutile venir qui a “fare i vergini”! Lo so, c’è chi fa certi discorsi anche nell’area dello champagne: “amico, pianta anche dell’altro...”. Provi a dirglielo lei, a chi ha le vigne e si spacca la schiena: cambia, fai la fame! Ooooh! Qui c’è una cosa che funziona. E bene. Perché cercare di rovinarla?»

Certo, ammette, i prezzi a volte son troppo bassi: «Ma sono scelte commercial­i degli imbottigli­atori! La qualità, però, resta altissima! Ognuno di noi ha in media due ettari e mezzo e ci fa 180 quintali a ettaro. Possiamo farne milioni, di bottiglie di qualità. Lo champagne? Mai inseguito, noi, lo champagne! Loro fanno una cosa, noi un’altra! Se no non avremmo ‘sto successo. Il prosecco è un prodotto da consumo. È un vino democratic­o. Un lusso democratic­o! Per tutti!» Fino ad arrivare a un miliardo di bottiglie? Mai dire mai… «Te lo canto fin co l’eco (eco eco...) / pianta vide de proseco (seco seco...)».

Il patron di Slow Food Carlin Petrini: «Così lo rendiamo come la Coca Cola, senza legami con il territorio» Il Consorzio di tutela Stefano Zanette: «È democratic­o, un lusso per tutti. Se funziona perché cambiare?»

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