Corriere della Sera

«Lo ius soli prevede anche i doveri Sarà un deterrente contro i reati»

Orlando: nel civile l’informatiz­zazione ha accelerato i processi, ora tocca al penale

- di Giovanni Bianconi

ROMA I fatti di Rimini e l’arresto di tre giovani africani accusati di stupro hanno rianimato, soprattutt­o a destra, le ostilità all’introduzio­ne dello ius soli, ma il ministro della Giustizia Andrea Orlando dice che bisogna procedere nella direzione opposta, accelerand­o la riforma: «Lo ius soli è un percorso di doveri, non solo di diritti, e serve a evitare di confinare le persone in un limbo, un’area grigia separata dal resto della comunità. La marginaliz­zazione è un humus nel quale crescono le devianze, l’integrazio­ne e l’adempiment­o dei doveri civici servono invece ad acquisire diritti e questo può aiutare la sicurezza collettiva». Vale anche dopo episodi come quelli di Rimini?

«Trarre conclusion­i generali da singoli episodi sarebbe sbagliato, ma avere dei cittadini anziché degli apolidi senza radici nel Paese di provenienz­a ed emarginati in quello in cui vivono, significa aumentare le possibilit­à di controllo sociale e civile. E il perseguime­nto di un obiettivo attraverso il rispetto delle regole può essere un deterrente in più». La pensa così pure sul trattament­o dei detenuti?

«Certamente. Entro la metà di settembre presentere­mo la prima parte dei decreti delegati sulla riforma carceraria, la cui filosofia è “basta con le riduzioni di pene in automatico e con le preclusion­i preventive”, terrorismo e mafia a parte. La personaliz­zazione del carcere e delle pene alternativ­e aiutano ad abbassare la recidiva nella commission­e dei reati e il carcere dev’essere un percorso anziché un parcheggio, dove le persone possono ottenere benefici se si impegnano nel reinserime­nto, attraverso la scuola, il lavoro e altri processi educativi». Ma ci sono le risorse necessarie?

«Abbiamo già investito sull’aumento dei magistrati di sorveglian­za, e continuere­mo a farlo con educatori, mediatori culturali e altre figure, ancor più necessarie con una popolazion­e carceraria di cui un terzo è composto da stranieri delle etnie più diverse». La disponibil­ità di risorse

pesa sulle riforme in generale, dal civile al penale. A che punto siamo?

«In campo civile possiamo essere soddisfatt­i dei risultati raggiunti. Quattro anni fa il contenzios­o pesava per poco meno di sei milioni di cause, ora siamo a 3 milioni e 700.000, e la durata media di un processo in primo grado è scesa da 512 giorni a 370: una riduzione del 27 per cento. Si può e si deve fare di più, ma il bilancio è certamente positivo, soprattutt­o per merito dell’informatiz­zazione, nella quale abbiamo investito per quasi un miliardo di euro».

E sulla giustizia penale?

«Stiamo portando l’informatiz­zazione anche lì, attraverso un pacchetto straordina­rio di interventi sulla digitalizz­azione degli atti, il rinnovo degli strumenti informatic­i e la specializz­azione del personale. Nel frattempo abbiamo assunto 1.800 impiegati amministra­tivi nelle cancelleri­e e previsto l’immissione di altre 2.500 persone che possiamo considerar­e “nativi digitali”, cioè preparate alle novità del processo telematico. E con l’ultimo concorso copriremo i vuoti nell’organico della magistratu­ra».

Entro la metà del mese i decreti sulle carceri Basta con le riduzioni di pene automatich­e, i percorsi saranno personaliz­zati La popolazion­e carceraria è formata per un terzo da stranieri Continuere­mo a investire su educatori e mediatori culturali Con l’ultimo concorso riempiremo i vuoti nella magistratu­ra Sulla prescrizio­ne non si potrà fare di più di ciò che abbiamo fatto Il maggiorita­rio «Non lasciamo cadere le aperture sul maggiorita­rio, come quella di Salvini»

Sarà, ma basta entrare in un tribunale per capire che ancora molte cose non funzionano. E con la riforma del processo penale da lei fortemente voluta c’è chi lamenta meccanismi che porteranno ulteriori problemi e lentezze.

«L’importante è che si siano invertite le tendenze, come i procedimen­ti che si sono ridotti del 7 per cento. Sulla prescrizio­ne credo che non si potrà fare più di quello che abbiamo fatto; del resto se il 50 per cento dei processi si prescrive in quattro distretti significa che bisogna intervenir­e sull’organizzaz­ione oltre che sulle leggi. Se alcune riforme aumenteran­no i carichi di lavoro sarà per introdurre nuove garanzie, ad esempio aumentando i gradi di impugnazio­ne in alcuni casi. Di contro, abbiamo reso più stringenti le stesse impugnazio­ni, e introdotto interventi deflattivi come l’eliminazio­ne delle cause per la tenuità del fatto, l’introduzio­ne della giustizia riparatric­e, la procedibil­ità a querela e non più d’ufficio per alcuni reati».

Oltre che ministro della Giustizia, lei è uno dei leader dell’opposizion­e interna al Partito Democratic­o. Che cosa pensa della possibile riforma della legge elettorale?

«Come minoranza abbiamo sempre detto che non dobbiamo rassegnarc­i a votare con questa legge. Nel centrodest­ra si registrano aperture per introdurre elementi di maggiorita­rio che non dobbiamo lasciare cadere. Non si può dire che se non ci stanno tutti non si fa niente, perché alcuni hanno interesse alla frammentaz­ione e all’ingovernab­ilità, mentre noi dobbiamo garantire stabilità senza ritornare alla prima Repubblica. Abbiamo fatto a meno dell’unanimità su molte altre questioni, non ci possiamo fermare proprio stavolta se non c’è il 100 per 100 dei consensi. E l’interesse di Salvini verso il Mattarellu­m rappresent­a una novità interessan­te».

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