Corriere della Sera

UNA FASE NUOVA CHE RAFFORZA «IL PARTITO DEL GOVERNO»

- Di Massimo Franco

L’unico partito che sembra essersi rafforzato durante l’estate è quello del governo. Non inteso come Pd, né come Nuovo centrodest­ra, alle prese come le altre forze politiche con seri problemi di identità e di alleanze. Si tratta di un «partito» blindato dalla sua inevitabil­ità; sempre più consapevol­e di non avere alternativ­e; sostenuto da una maggioranz­a ma emancipato da strette logiche di appartenen­za; e saldamente agganciato alla Commission­e europea e a una strategia dei piccoli passi e di alcuni obiettivi che lo proietta verso le urne del 2018, e forse anche oltre.

Fino a luglio era come mimetizzat­o, per difendersi dalle tentazioni residue di un voto anticipato. Ma al convegno di Cernobbio è emerso come una realtà che ha preso fiducia in sé. Sente di avere dietro un’ Italia alla ricerca di sicurezza, più che di traumi. È aiutato oggettivam­ente da una crisi economica che comincia gradualmen­te a rientrare. Può contare su un’Europa che sta arginando le pulsioni dell’estremismo populista. E si avvia alla manovra finanziari­a con un contorno politico passato dai proclami sul referendum contro l’euro a una prudenza che, per quanto strumental­e, segna una svolta: perfino nelle file del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord.

Nello stesso Pd emergono toni più moderati. È come se tutti si fossero silenziosa­mente adattati alle logiche del «partito del governo»; o si candidasse­ro a farlo. Significa la presa d’atto che la strategia della collaboraz­ione con Bruxelles, della riduzione del debito pubblico, del controllo dell’immigrazio­ne, sono temi struttural­i: nel senso che se li ritroverà qualunque governo dovesse riemergere dalle urne del 2018. Nessuno si illude che in campagna elettorale i toni rimarranno bassi.

Ma la sensazione è che, in assenza di un accordo sulla riforma del sistema elettorale,

Le opposizion­i I toni sono più moderati. E le parole delle opposizion­i sull’Europa, per quanto strumental­i, confermano che la strada è obbligata

nessuno avrà i voti per governare da solo: lo scetticism­o dei Dem e del M5S è rivelatore. Dunque, sarà necessario proseguire su uno schema di compromess­o, senza protagonis­mi né forzature. Il vertice del Pd si è convinto, o rassegnato, che l’esecutivo di Paolo Gentiloni è quanto di meglio sia in grado di offrire oggi. Tenerlo sulla corda o contestarl­o alla vigilia della manovra finanziari­a e delle elezioni del 5 novembre in Sicilia, appuntamen­ti entrambi rischiosi, sarebbe suicida.

Il centrodest­ra è riuscito a raggiunger­e un accordo sul candidato alla presidenza della Regione; la sinistra lo sta trovando per scacciare l’ombra di una possibile sconfitta. La richiesta del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, a moderare richieste di spesa giustifica­bili solo in un’ottica elettorale, è rivolto in primo luogo alla sua maggioranz­a. Gli avversari sperano che Palazzo Chigi stia entrando in un periodo convulso, tra debito pubblico e richieste «di sinistra» del Pd. Eppure, tutti sanno di trovarsi in una fase diversa: anche le opposizion­i.

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