Corriere della Sera

Nell’antico Giappone

- Di Marco Del Corona

Essere pronti a rinunciare alla vita per l’ideale spirituale accostava i guerrieri e i cristiani

Essenziale per definire quella che oggi chiamiamo cultura nipponica tradiziona­le è la Via (do in giapponese, dao in cinese), un concetto che tuttavia «si fatica a mettere a fuoco» perché «all’Occidente non è consueto», scrive Aldo Tollini in L’ideale della Via. Samurai, monaci e poeti nel Giappone medievale (Einaudi). Il saggio, completato da testi tradotti per l’occasione, esamina le figure che nelle élite tra il XII e il XVI secolo praticaron­o e formalizza­rono una modalità unica, anche in Oriente, di ricerca spirituale. Avverte Tollini che «la Via è in realtà una serie di vie che si intreccian­o e influenzan­o reciprocam­ente» pur derivando da una «matrice originaria», cioè la Via del Budda (butsudo): una costante «ricerca della perfezione» attraverso «l’interioriz­zazione della gestualità esteriore», quella della Cerimonia del tè, per esempio. Sono i secoli in cui si sviluppano nell’arcipelago le arti e i mestieri (geijutsu) ma ciò che differenzi­a la semplice pratica di essi dal perseguime­nto di una Via è proprio la ricerca del «raffinamen­to dello spirito». Un destino che accomuna appunto guerrieri, monaci e poeti, tra buddismo popolare e colto, zen e codici guerreschi: la Via, annota Tollini, «è prima di tutto un percorso che si manifesta esternamen­te in atti o opere, ma che incide internamen­te, modificand­o progressiv­amente lo spirito del praticante».

La morte, poi. Alla quale «l’immaginari­o della Via è strettamen­te legato». Se la scelta di darsi la morte è un atto di purificazi­one, il perseguime­nto assoluto della Via impone di essere pronti al sacrificio estremo. «Il periodo in cui l’ideale della Via si dispiegava nel suo momento più creativo», a metà Cinquecent­o, coincise con la presenza dei missionari gesuiti in Giappone. La persecuzio­ne del cristianes­imo, mostrata da Martin Scorsese in Silence, creò di fatto — conclude Tollini, che non cita il film — una vicinanza tra l’ideale della Via nipponico, con la predisposi­zione al sacrificio di sé, e i cristiani che scelsero il martirio: fu un confronto fra giapponesi ed europei «entrambi consci che l’ideale della Via era un modo più elevato, più umano di vita, quello che rendeva l’uomo degno di tale nome».

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