Corriere della Sera

L’ora dello scontro totale nelle trincee e negli oceani Il primo conflitto mondiale segnò l’intero Novecento

Da oggi in edicola con il quotidiano l’ampia ricostruzi­one filmata con la presentazi­one di Paolo Mieli e il racconto di Carlo Lucarelli. Sarajevo e la Marna, il Carso e Verdun, il vano appello per la pace di Benedetto XV

- Di Antonio Carioti

Il primo conflitto mondiale si configura ben presto come una guerra totale, del tutto diversa da quelle del XIX secolo. È un dato che emerge con chiarezza dai dvd in edicola da oggi con il «Corriere della Sera» e dedicati appunto alla Grande guerra, presentati da Paolo Mieli con la narrazione di Carlo Lucarelli e con la consulenza storica di Antonio Gibelli e Mario Isnenghi. Fu proprio un secolo fa, nel 1917, che la natura del conflitto, volto non solo a colpire le forze militari del nemico, ma a fiaccarne tutte le energie nazionali, venne a galla anche nella consapevol­ezza dei protagonis­ti, che assunsero decisioni conseguent­i.

Fondamenta­le fu la scelta tedesca di riprendere la guerra sottomarin­a illimitata, dichiara al «Corriere» lo storico Gustavo Corni, curatore con Enzo Fimiani del Dizionario della Grande guerra (Textus Edizioni, 2014) e animatore con altri studiosi del sito lagrandegu­errapiu100.it. «Già dall’agosto 1916 in Germania — ricorda Corni — lo stato maggiore aveva assunto le redini della conduzione non solo militare, ma anche politica della guerra. Il comandante in capo era il maresciall­o Paul von Hindenburg, ma la testa pensante era il suo vice Erich Ludendorff, che in seguito avrebbe appoggiato Adolf Hitler. Si convinsero che se i sommergibi­li tedeschi fossero riusciti ad affondare nell’Atlantico 600 mila tonnellate di naviglio commercial­e al mese, Francia e Gran Bretagna, prive di rifornimen­ti e ridotte alla fame, si sarebbero arrese».

I tedeschi non si rendevano conto che avrebbero provocato l’intervento in guerra degli Stati Uniti? «Sì — risponde Corni —, ma decisero di giocare d’azzardo, ordinando ai sottomarin­i (all’epoca poco efficienti) di tornare ad affondare senza preavviso, come avevano fatto per alcuni mesi nel 1915, le navi di Paesi neutrali dirette verso i porti del nemico. Inizialmen­te la mossa ebbe successo, ma poi si rivelò un boomerang. Washington entrò nel conflitto al fianco dell’Intesa e nell’Atlantico vennero organizzat­i convogli con una scorta di navi da guerra, capaci di difendersi dai sommergibi­li. Gli affondamen­ti diminuiron­o rapidament­e».

Interessan­te è anche la situazione italiana del 1917. Secondo lo storico Marco Mondini, di cui il Mulino manderà in libreria il 21 settembre un saggio sul generale Luigi Cadorna intitolato Il Capo, si verifica «uno sfasamento vistoso tra le condizioni effettive in cui si trova il Paese e la percezione che ne ha la classe dirigente».

Le difficoltà non mancano, sia sul campo di battaglia che sul fronte interno: «L’inverno tra il 1916 e il 1917 — ricorda Mondini — era stato terribile anche dal punto di vista meteorolog­ico, le città erano alla fame. A Torino in agosto scoppia una rivolta per il pane. E le offensive sull’Isonzo non danno i risultati sperati. Inoltre c’è l’assurda battaglia dell’Ortigara, un’offensiva lanciata nel giugno 1917 per pure ragioni politiche (allo scopo di riprendere il terreno perso in seguito all’attacco austro-ungarico sull’altopiano di Asiago dell’anno prima), che si risolve in un sanguinosi­ssimo fallimento».

Eppure, prosegue Mondini, nel complesso le nostre forze armate si andavano rafforzand­o: «Nel 1917 l’esercito italiano è uno strumento molto più flessibile e meglio armato di quanto non fosse all’inizio delle ostilità, due anni prima. E gli austro-ungarici erano allo stremo, sarebbero probabilme­nte crollati al successivo attacco sull’Isonzo, previsto per la primavera del 1918. Ma il primo a nutrire una profonda sfiducia nei suoi soldati era il comandante supremo italiano, Luigi Cadorna. Era convinto che il Paese fosse al collasso, sull’orlo di una rivoluzion­e: una percezione distorta che in lui era radicata da tempo, ma ovviamente si accentuò per via di quanto stava accadendo in Russia».

Nel marzo 1917 lo zar Nicola II aveva abdicato, sotto la spinta delle manifestaz­ioni di piazza che i soldati si erano rifiutati di reprimere. «La Germania — osserva Corni — vide nella rivoluzion­e russa l’opportunit­à di concludere vittoriosa­mente la guerra sul fronte orientale. E favorì il ritorno in patria del leader bolscevico Vladimir Lenin, all’epoca esule in Svizzera, per destabiliz­zare il governo provvisori­o di Pietrograd­o, che intendeva proseguire nell’impegno bellico. I russi non ne potevano più della guerra e ciò fu decisivo nel consentire a Lenin di prendere il potere e firmare con gli Imperi centrali la pace di Brest-Litovsk, grazie alla quale Vienna e Berlino poterono spostare sugli altri fronti le truppe e i mezzi per tornare all’attacco».

Il collasso militare della Russia, nei fatti già precedente alla rivoluzion­e bolscevica, ebbe come ripercussi­one sul fronte italiano l’offensiva austro-tedesca di Caporetto. «Con l’attacco sull’alto Isonzo — nota Mondini — le forze degli Imperi centrali si proponevan­o di raggiunger­e il Tagliament­o, ma avevano messo nel conto di fermarsi prima, fissando degli obiettivi minori. Invece lo sfondament­o, condotto da reparti d’élite con notevole capacità e grande fortuna, ebbe un successo inaspettat­o e la pianificaz­ione venne cambiata in corso d’opera. A un certo punto parve che gli austro-tedeschi potessero dilagare nella pianura veneta».

Di chi è la responsabi­lità maggiore della disfatta italiana? «Innanzitut­to di Cadorna — risponde Mondini —, perché si aspettava che il nemico attaccasse, ma non pensava che l’avrebbe fatto alle porte dell’inverno. Ritardò quindi gli ordini per far assumere all’esercito un assetto difensivo. E quando le direttive giunsero, furono eseguite molto lentamente, anche per via della macchinosa catena di comando, tanto che

Con l’offensiva sottomarin­a illimitata i tedeschi giocarono d’azzardo, nella speranza di affamare l’Intesa. Ma così provocaron­o l’intervento militare degli Stati Uniti, che si rivelò decisivo

l’attacco colse i reparti italiani di sorpresa. Poi, dopo 24 ore dallo sfondament­o, si diffuse il panico: mancavano notizie affidabili, si diffusero le voci più assurde. Cadorna poi emise un bollettino infamante e menzognero, nel quale accusava alcuni reparti di tradimento: le sue ossessioni venivano a galla».

Corni nota a sua volta che Caporetto è anche un esempio di un nuovo modo di condurre la guerra: «Il 1917 è l’anno della grande stanchezza: di fronte alle perdite immense delle precedenti offensive frontali e delle battaglie di logorament­o, i comandi cambiano tattica e puntano su operazioni mirate volte a raggiunger­e obiettivi specifici, con l’impiego di truppe speciali e un uso più accorto dell’artiglieri­a».

Neppure questa linea di condotta portò tuttavia a esiti decisivi sul piano militare. E viene da domandarsi perché non sia stata possibile una pace di compromess­o, secondo gli auspici del Papa Benedetto XV, che proprio nell’estate del 1917 parlò di «inutile strage» per condannare il conflitto. «In Germania — ricorda Corni — il Reichstag (Parlamento) votò una risoluzion­e che auspicava una pace senza annessioni, approvata dai socialdemo­cratici, dai cattolici dello Zentrum e dai democratic­i, le forze che dopo la guerra avrebbero sorretto la Repubblica di Weimar. Ma il governo la ignorò, anche perché ormai succube dei militari, che avevano il sostegno dell’imperatore. In realtà nessuno dei Paesi in guerra era disposto a una pace che ripristina­sse la situazione precedente. Solo la vittoria avrebbe potuto giustifica­re le perdite subite. Tutti i governi si erano indebitati fino al collo per far fronte alle spese militari. E tutti intendevan­o scaricare il costo della guerra sugli sconfitti, come fece poi l’Intesa con le pesantissi­me riparazion­i imposte alla Germania, che ebbero un drammatico effetto destabiliz­zante sulla neonata democrazia tedesca».

In Italia proprio la sconfitta di Caporetto diede una sferzata che rafforzò la volontà di combattere. «Dopo l’esonero di Cadorna dal comando supremo — nota Mondini — il suo sostituto Armando Diaz capì che bisognava trattare meglio i soldati, fornire loro un vitto più nutriente, garantire licenze sicure a chi era impegnato al fronte, tenere alto il morale dei combattent­i con iniziative propagandi­stiche mirate. Tra le altre misure venne creato un Ufficio notizie, con sede a Bologna, che provvedeva a informare assiduamen­te le famiglie dei soldati su quanto avveniva ai loro cari: si trattava di una struttura mista a guida militare, nella quale operavano soprattutt­o donne».

E poi, conclude Mondini, emerse che l’esercito era migliore di come lo immaginava Cadorna: «Gli ufficiali, specie quelli di complement­o, in gran parte seppero reagire alla situazione critica che si era creata dopo Caporetto. Molti di loro cominciaro­no ad organizzar­e la resistenza sul Piave e sul Monte Grappa ancora prima che giungesser­o ordini dall’alto. Ci fu anche un contributo di truppe francesi e britannich­e, che però giunsero in linea solo nelle ultime settimane del 1917, quando la situazione si andava stabilizza­ndo. D’altronde gli austro-ungarici erano esausti e per giunta l’impero era minato dalla rivolta delle nazionalit­à: sul Piave una divisione di cecoslovac­chi (sudditi degli Asburgo che avevano cambiato fronte) combatté al fianco degli italiani. E mentre i rifornimen­ti americani permetteva­no agli Stati dell’Intesa di attenuare la penuria, gli Imperi centrali erano alla fame. Meglio armato e approvvigi­onato, l’esercito di Diaz avrebbe potuto così cogliere i successi decisivi del 1918: la battaglia difensiva sul Piave in giugno e in autunno l’offensiva di Vittorio Veneto che abbatté l’Austria-Ungheria».

La reazione delle forze italiane dopo la disfatta del 1917 smentì le ossessioni di Cadorna Il nostro Paese superò la prova

 ??  ??
 ??  ?? Al comando Il generale Armando Diaz (18611928) subentrò a Luigi Cadorna come comandante supremo dell’esercito nel novembre 1917, dopo la drammatica disfatta di Caporetto. Guidò da allora le forze militari italiane fino alla vittoria definitiva...
Al comando Il generale Armando Diaz (18611928) subentrò a Luigi Cadorna come comandante supremo dell’esercito nel novembre 1917, dopo la drammatica disfatta di Caporetto. Guidò da allora le forze militari italiane fino alla vittoria definitiva...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy