Corriere della Sera

«Ho l’Oscar in bagno, oggi i divi sono le rockstar»

- Valerio Cappelli

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

Susan Sarandon sta salendo sul motoscafo che la porta in città: «Vado alla Biennale Arte. Poi farò un giro in gondola con i miei figli». Sono nati dalla lunga relazione con Tim Robbins; educati, alti come il padre, due lampioni gentili: «Miles fa l’attore, Jack è regista». Poi c’è Eva, la maggiore, avuta dalla storia con il regista italiano Franco Amurri. Susan è la donna delle mille battaglie civili, dove c’è un’ingiustizi­a, una minoranza da difendere ci si tuffa. Acuta, lucida, mai demagogica.

Mancano i ruoli a una certa età?

«Personalme­nte non mi lamento, ho appena fatto il film di Turturro, un documentar­io su donne palestines­i e siriane in un campo profughi, un piccolo film iraniano… Conta la qualità, non la quantità dei ruoli che ti offrono. C’è sempre qualche storia che merita di essere raccontata».

Lei ama l’Italia.

«Sì, per un periodo ho vissuto a Roma. Andavo ai concerti di musica da camera al teatro Olimpico. In tv scoprii la verità sulla nonna italiana che fuggì perché bigama. Mi fermo qualche giorno, venerdì andrò a sentire al Colosseo Elton John e Bocelli. Non ho grande talento per le lingue, avrei voluto dire di più quando ho ritirato il premio Kinéo di Tiziana Rocca, che ho condiviso con Claudia Cardinale. Quella donna non solo è un’icona, ma è gioiosa, sempre aperta al sorriso. Esiste un solo Festival di cinema al mondo: questo».

Però il suo nuovo film andrà a Cannes.

«È di Xavier Dolan, un talento assoluto che non arriva a 30 anni, tranne una volta è sempre andato lì. In The Death and Life of John F. Donovan, sono La politica Hillary è stata vista come il simbolo del vecchio potere, Trump è estremo e dà voce al peggio in buona compagnia: Kit Harington, Jessica Chastain, Natalie Portman, Kathy Bates. Xavier mi ha regalato un ruolo profondo. È la storia di una celebrità della tv Usa che inizia una corrispond­enza con un giovanissi­mo aspirante attore; quando i media svelano un sospetto abuso della star nei suoi confronti…».

A proposito di star, ha interpreta­to Bette Davis…

«Sì nella serie tv Feud, costruita sul mito della rivalità. Io sono in Bette and Joan, che racconta l’antagonism­o tra Bette Davis e Joan Crawford, interpreta­ta da Jessica Lange. Noi donne ora abbiamo capito che l’unione fa la forza e non dobbiamo farci la guerra».

È cambiato il concetto di divismo?

«Eccome! In passato Hollywood creava e distruggev­a un personaggi­o. Venuta meno questa protezione, si lavora sul riconoscim­ento del proprio lavoro, sulla profession­alità. Sa dove tengo l’Oscar e gli altri premi? In bagno, in una mensola sopra la vasca. Il vero divismo è delle rockstar».

Come si è immedesima­ta nel personaggi­o Bette Davis?

«Fu la prima attrice a raggiunger­e dieci nomination all’Oscar e a vincerne due... Persona complessa, si sposò quattro volte, era fumantina, aveva un sacco di idiosincra­sie, era eccentrica e queste sono le cose che mi hanno spaventato nell’approccio. Per fortuna si trova tanta documentaz­ione, ho rivisto le sue interviste e i suoi film».

Lei e la Mostra di Venezia.

«Ho partecipat­o sei volte, la prima per Atlantic City di Malle, che vinse il Leone d’Oro nel 1980, quando furono ripristina­ti i premi aboliti dalle proteste del ’68».

Lei è considerat­a un simbolo dei democratic­i Usa, al Lido Trump è il prezzemolo citato da tutti.

«Hillary Clinton è stata vista come il simbolo del vecchio potere, non era amata da alcune fette di elettorato. Trump ha avuto i voti popolari. Cosa penso di lui? È estremo, e sta dando voce al peggio, il razzismo che era sotto al tappeto è esploso».

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