Corriere della Sera

NON LASCIAMO SOLI GLI USA NELLA CRISI NORDCOREAN­A

Confronto Kim e i suoi antenati sono crudeli calcolator­i, non pazzi, convinti (e non da oggi) che solo un arsenale nucleare possa garantire la sicurezza del loro Paese

- di Franco Venturini SEGUE DALLA PRIMA

Ma poi viene il momento in cui la scelta che l’America deve compiere è tra guerra e pace, e quella è l’ora in cui l’inquilino della Casa Bianca, chiunque sia, ridiventa il capo dell’Occidente. Gli alleati degli Stati Uniti devono capire che oggi, mentre la Corea del Nord sviluppa ordigni nucleari sempre più micidiali e acquista la capacità tecnica di colpire gli Stati Uniti, non esistono più vicinanze o lontananze geografich­e dal possibile teatro di scontro.

Esistono invece gli schieramen­ti delle ore gravi, le alleanze che vanno al di là delle persone, e sarebbe un errore, soprattutt­o per gli europei, non far sentire all’America in tormento la loro vicinanza, i loro pareri, anche le loro amichevoli critiche. Lo ha ben capito Angela Merkel che ieri ha telefonato a Trump non soltanto perché è in campagna elettorale, e c’è da sperare che altri seguiranno, Italia compresa, e verificher­anno la possibilit­à di un vertice transatlan­tico dedicato esclusivam­ente all’emergenza nordcorean­a.

Perché di emergenza si tratta, non facciamoci illusioni. Davanti ai formidabil­i (o terribili) progressi compiuti da Kim Jong-un in campo nucleare e in campo missilisti­co, l’Occidente ha reagito con il consueto istinto pavloviano rimasto immutato dalla presidenza Clinton in poi: dure parole di condanna miste a stupore, limitate contromisu­re militari per tranquilli­zzare Seul e Tokyo, lamentele verso la Cina, sanzioni economiche sempre più estese.

Washington, questa volta, vorrebbe che lunedì il Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvasse una sorta di embargo commercial­e mondiale contro la Corea del Nord. Ma ha perfettame­nte ragione Vladimir Putin quando avverte, come ha fatto ieri, che le sanzioni risulteran­no inefficaci perché i dirigenti nordcorean­i sono pronti a «mangiare erba» pur di portare avanti il loro programma militare atomico. È appunto questa la terrifican­te presa d’atto alla quale l’America sta lentamente arrivando, e che non deve sfuggire agli alleati. Kim e i suoi antenati sono lucidi e crudeli calcolator­i, non pazzi. Essi sono convinti, e non da oggi,

che soltanto la disponibil­ità di un arsenale nucleare può garantire la sicurezza della Corea del Nord e la sopravvive­nza della sua classe dirigente. Il pericolo può venire dall’odiata America, dalla separata Corea del Sud, e sarà meglio non fidarsi nemmeno della sempre meno amica Cina. Per questo la polizza di assicurazi­one atomica va perseguita impegnando tutte le risorse, senza badare a carestie o a nuove sanzioni. Per questo la Corea del Nord non diventerà mai «ragionevol­e» prima di aver avuto dagli Usa il riconoscim­ento del proprio status di potenza nucleare. E anzi, moltiplich­erà le provocazio­ni per tentare di accelerare il processo.

Per l’America la vera alternativ­a, dietro lo schermo temporeggi­atore delle sanzioni, è tra guerra e pace. La guerra comportere­bbe un massacro oggi non misurabile, una apocalisse asiatica che di certo coinvolger­ebbe i sudcoreani, le forze statuniten­si presenti in Sud Corea e a Guam, forse i giapponesi. E il superament­o della soglia nucleare scuoterebb­e dalle radici i già fragili equilibri mondiali, economici e geopolitic­i. La pace richiedere­bbe un dialogo negoziale assai improbabil­e senza previe concession­i sullo status di potenza atomica. E comunque renderebbe probabile una proliferaz­ione nucleare regionale che potrebbe coinvolger­e, oltre alla Corea del Sud, anche un Giappone tuttora tormentato dalle tragiche memorie di Hiroshima e di Nagasaki. E ancora, fino a che punto potrebbero gli Usa fidarsi degli impegni di una Corea del Nord che conservere­bbe una capacità di primo colpo atomico contro il territorio americano o contro le basi americane?

Trump non si mette più sullo stesso piano verbale delle minacce di Kim, dice «vedremo» e rivela così una benvenuta consapevol­ezza dell’enorme posta in gioco. Se deciderà di colpire, aprirà la porta su un baratro insondabil­e. Se resterà alla finestra spingendo ancora il pulsante delle sanzioni, di fatto inviterà Kim Jong-un a nuovi e sempre più ultimativi «messaggi» nucleari e balistici. No, gli alleati di Trump non possono guardare dall’altra parte e limitarsi a pronunciar­e le solite condanne. L’America deve sentirci vicini. E devono sentirci vicini i generali di cui Trump si è circondato, perché saranno loro, nella meno catastrofi­ca delle ipotesi, a dover misurare fin dove si può provare a trattare con i bombaroli atomici di Pyongyang.

Vicinanza Gli alleati di Trump non possono guardare altrove e limitarsi alle solite condanne

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