Mai indulgenza per gli stupratori
Iquattro stupratori di Rimini devono restarci, nella galera in cui sono stati sbattuti. E il processo contro di loro deve essere rapido, stringente e severissimo. E guai se questa storia di belluina ferocia maschilista finisse fra qualche settimana, posatosi il polverone delle polemiche, in una bonaria concessione degli arresti domiciliari. Guai. La giustizia, soprattutto in certi momenti, deve dare segnali di assoluta fermezza. E vale anche per Abid Jee, il mediatore culturale che aveva scritto su Facebook (ignorante oltre che violento) «lo stupro è un atto peggio solo all’inizio, una volta si entra il pisello poi la donna diventa calma e si gode come un rapporto sessuale normale». È stato licenziato? È già qualcosa. Ma sarebbe bene se la giustizia gli chiedesse conto penalmente anche dell’istigazione allo stupro: va espulso, chi la pensa così. Via. Detto questo, sbalordisce l’abissale differenza di spazio sulle prime pagine, di indignazione e di editoriali rispetto agli stupratori della ragazzina quindicenne di Pimonte, provincia di Napoli, violentata nel luglio scorso da undici (undici!) ragazzi tra i quali quello che nelle cronache è stato chiamato «il fidanzatino». Parola che poi mai e poi mai verrebbe usata se quella «bestia» (termine più volte adoperato in questi giorni per i criminali di Rimini) fosse un «fidanzatino» nero. Stesso reato, stessi criminali. Non una volta, però, diversamente dal caso di Rimini, lo stupro del branco è finito in prima pagina. Il trattamento riservato ai giovani delinquenti italiani, al di là dell’ignobile «indulgenza» del sindaco Michele Palummo («fu una bambinata») è stato assai più indulgente. Bonario. Al punto che a doversene andare dal paese non sono stati i violentatori ma la ragazzina. Vittima della maldicenza, delle battute, dei dubbi dei concittadini: «Chissà se davvero…». Lo hanno già spiegato statistici, psicologi, criminologi: solo il 7% degli stupri è denunciato. E i silenzi, le paure, le omertà coprono in larghissima parte violenze accadute nei dintorni della famiglia, dei parenti, dei vicini. Con una differenza fondamentale: chi denuncia lo stupro compiuto da un tunisino o un eritreo si ritrova intorno una società compatta e solidale. Chi denuncia di essere stata stuprata da un cugino, un amico di famiglia, un vicino, sa di andare incontro troppo spesso alla diffidenza: «Chissà se davvero…». Lo dicono anni di cronache. Che dovrebbero far riflettere sulla quota stupefacente, il 93% (novantatre!) di donne che preferiscono tenersi dentro il dolore e l’umiliazione.