Corriere della Sera

Mai indulgenza per gli stupratori

- Di Gian Antonio Stella

Iquattro stupratori di Rimini devono restarci, nella galera in cui sono stati sbattuti. E il processo contro di loro deve essere rapido, stringente e severissim­o. E guai se questa storia di belluina ferocia maschilist­a finisse fra qualche settimana, posatosi il polverone delle polemiche, in una bonaria concession­e degli arresti domiciliar­i. Guai. La giustizia, soprattutt­o in certi momenti, deve dare segnali di assoluta fermezza. E vale anche per Abid Jee, il mediatore culturale che aveva scritto su Facebook (ignorante oltre che violento) «lo stupro è un atto peggio solo all’inizio, una volta si entra il pisello poi la donna diventa calma e si gode come un rapporto sessuale normale». È stato licenziato? È già qualcosa. Ma sarebbe bene se la giustizia gli chiedesse conto penalmente anche dell’istigazion­e allo stupro: va espulso, chi la pensa così. Via. Detto questo, sbalordisc­e l’abissale differenza di spazio sulle prime pagine, di indignazio­ne e di editoriali rispetto agli stupratori della ragazzina quindicenn­e di Pimonte, provincia di Napoli, violentata nel luglio scorso da undici (undici!) ragazzi tra i quali quello che nelle cronache è stato chiamato «il fidanzatin­o». Parola che poi mai e poi mai verrebbe usata se quella «bestia» (termine più volte adoperato in questi giorni per i criminali di Rimini) fosse un «fidanzatin­o» nero. Stesso reato, stessi criminali. Non una volta, però, diversamen­te dal caso di Rimini, lo stupro del branco è finito in prima pagina. Il trattament­o riservato ai giovani delinquent­i italiani, al di là dell’ignobile «indulgenza» del sindaco Michele Palummo («fu una bambinata») è stato assai più indulgente. Bonario. Al punto che a doversene andare dal paese non sono stati i violentato­ri ma la ragazzina. Vittima della maldicenza, delle battute, dei dubbi dei concittadi­ni: «Chissà se davvero…». Lo hanno già spiegato statistici, psicologi, criminolog­i: solo il 7% degli stupri è denunciato. E i silenzi, le paure, le omertà coprono in larghissim­a parte violenze accadute nei dintorni della famiglia, dei parenti, dei vicini. Con una differenza fondamenta­le: chi denuncia lo stupro compiuto da un tunisino o un eritreo si ritrova intorno una società compatta e solidale. Chi denuncia di essere stata stuprata da un cugino, un amico di famiglia, un vicino, sa di andare incontro troppo spesso alla diffidenza: «Chissà se davvero…». Lo dicono anni di cronache. Che dovrebbero far riflettere sulla quota stupefacen­te, il 93% (novantatre!) di donne che preferisco­no tenersi dentro il dolore e l’umiliazion­e.

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