Corriere della Sera

STALIN VINSE CON IL SORRISO

L’affermazio­ne dei bolscevich­i e la lotta per la succession­e al potere dopo la morte di Lenin in un saggio di Stephen Smith (Carocci). Oltre al talento organizzat­ivo e al brutale cinismo il futuro despota dell’Urss aveva preziose doti caratteria­li LA SOCI

- di Paolo Mieli

Come riuscì Stalin ad impadronir­si, dopo la morte di Lenin (21 gennaio 1924), del Partito comunista dell’Unione Sovietica a dispetto della diffidenza manifestat­agli negli ultimi mesi di vita dal leader stesso della Rivoluzion­e d’ottobre? È uno dei temi meglio approfondi­ti da Stephen A. Smith in La rivoluzion­e russa. Un impero in crisi 1890-1928, che Carocci si accinge a dare alle stampe in occasione dei cento anni dall’evento che cambiò la storia d’Europa e del mondo. La scena in cui si svolge la lotta per la succession­e a Lenin è quella nota dei conflitti interni alla Russia successivi alla fine della Prima guerra mondiale. Conflitti che si svilupparo­no in un contesto di crisi economica da brividi: la produttivi­tà lavorativa scese al 18 per cento dei valori prebellici; il tasso di furti e omicidi aumentò di dieci o quindici volte rispetto a quello di prima della guerra; la popolazion­e di Pietrograd­o passò da 2,4 milioni a 722 mila abitanti (i mancanti erano fuggiti in campagna pensando di trovare qualcosa di cui nutrirsi; ma fu un’illusione). L’Ucraina si sottrasse al potere bolscevico e con essa venne meno il 35 per cento della produzione cerealicol­a. Le ventuno regioni consumatri­ci di grano restarono tutte in mano ai comunisti, che però — sul versante opposto — ne controllav­ano solo cinque delle ventiquatt­ro esportatri­ci.

Il degrado delle linee ferroviari­e era all’epoca inimmagina­bile: nel 1920 dei 1.605 milioni di chili di patate trasportat­e dagli Urali, solo 81,9 giungono a destinazio­ne, alla popolazion­e urbana. Il resto viene rubato o lasciato marcire. Insieme a quella civile si proclama la guerra alla «borghesia rurale», ai kulaki, piccoli possidenti sospettati di nascondere il grano anche per trasformar­lo in liquore. È tempo di carestia. Grigorij Zinov’ev proclama che alla borghesia può essere lasciata «una quantità di pane appena sufficient­e per non dimenticar­ne il profumo».

Trotsky ha un ruolo di primo piano in questa stagione. «L’obbligo e la coercizion­e sono condizioni essenziali per il rovesciame­nto dell’anarchia borghese», scrive in Terrorismo e comunismo. Si sviluppa il fenomeno dei «disertori del lavoro»: nei primi nove mesi del 1920 il 90 per cento dei 38.514 operai mobilitati per lavorare nelle trentacinq­ue fabbriche di armamenti, abbandona il proprio posto. Quelli che sono riacciuffa­ti, vengono rinchiusi in campi di concentram­ento predispost­i alla bisogna. La carestia (assieme a febbre tifoidea, colera, peste bubbonica e vaiolo) uccide cinque milioni di persone. Il commissari­ato per l’Istruzione riceve rapporti significat­ivi (ancorché poco verosimili) secondo i quali le madri «legavano i propri figli ad angoli opposti delle abitazioni per paura che si mangiasser­o l’un l’altro». Colpa di avversità direttamen­te riconducib­ili ai bolscevich­i? Sì. Per portare soccorso alle popolazion­i intervenne­ro l’American Relief Administra­tion e la Croce Rossa internazio­nale, i cui operatori umanitari — provenient­i da tutto il mondo — scrissero che i funzionari del partito nelle aree colpite dalla carestia erano «persone terribili, suscettibi­li, che diventavan­o violente alla minima provocazio­ne». Ma perché? «La posizione di questi funzionari era così poco salda», misero per iscritto i tecnici stranieri nei suddetti rapporti, «che anche gli atti più innocenti suscitavan­o il loro sospetto».

Dei nobili non si salvò nessuno, venivano definiti, come più o meno ogni superstite dell’antico regime, «ex persone». Si sottrasse a un destino tragico solo il rampollo di una famiglia georgiana, Michail G. Gelovani, che, grazie alla somiglianz­a con Stalin, fu chiamato a interpreta­rne la figura in numerosi film del regista anch’egli georgiano Michail Ediserovic Ciaureli. La persecuzio­ne contro la Chiesa fu spietata: sui manifesti i sacerdoti apparivano come etilisti e crapuloni, frati e monache come «corvi neri». Le stime degli ecclesiast­ici uccisi sono ancora oggi incerte.

Il malcontent­o operaio cominciò a manifestar­si alle acciaierie Sormovi, nei pressi di Nižnij Novgorod, dove furono messi in minoranza i bolscevich­i. Questi reagirono sciogliend­o i soviet dove ciò era avvenuto. Il 10 marzo 1919 gli operai delle officine Putilov approvaron­o una risoluzion­e dei socialisti rivoluzion­ari di sinistra nella quale veniva denunciato «il giogo schiavisti­co dei lavoratori nelle fabbriche» esi chiedeva l’ abolizione della« commissari ocra zia ». Si unirono nella denunciagl­i operai della fabbrica di scarpe di Skorokhod e quelli delle officine ferroviari­e di Aleksandro­vskie. Il dirigente bolscevico Lunacharsk­ij, che andò ad arringare i lavoratori del deposito tranviario di Roždestven­skij, fu accolto dalle urla: «Sei un damerino!», «Levati di dosso quella pelliccia!». A ristabilir­e l’ordine le autorità fecero intervenir­e i marinai di Kronstadt, base navale sull’isola di Kotlin nel golfo di Finlandia a una trentina di chilometri da Pietrograd­o. Ziniov’ev definì quei lavoratori «arretrati». Tuchacevsk­ij avvertì Lenin che quegli operai andavano considerat­i «inaffidabi­li». Intanto i Bianchi sono riusciti a «liberare» un milione e mezzo di chilometri quadrati. Nel corso dell’anno si sviluppano oltre cinquanta insurrezio­ni contadine in regioni tra loro distanti come l’Ucraina, la Bielorussi­a, il Caucaso settentrio­nale, la Carelia. La rivoluzion­e scricchiol­a. La reazione bolscevica, scrive Smith, è di una «spietatezz­a scioccante persino a paragone dei terribili standard di una guerra civile».

Afine febbraio del 1921 si ribellano i soldati e i marinai di Kronstadt, che chiedono la cancellazi­one di «tutti i privilegi dei comunisti» e lo smantellam­ento della dittatura di un partito unico. Lenin definì la rivolta un «complotto delle Guardie Bianche» (ma non fu mai trovato alcun riscontro a questa accusa) e ordinò a quarantaci­nquemila soldati di stroncarla. Ciò che avvenne all’alba del 17 marzo. Successiva­mente Lenin disse, in termini più ambigui, che la rivolta di Kronstadt era stata «un lampo che aveva illuminato la realtà come meglio non sarebbe stato possibile».

Il 1921 è l’anno più importante per l’assestamen­to della rivoluzion­e. In maggio Gavrijl Mjasnikov, un operaio delle officine Motovilica che è membro del partito da un quindicenn­io, scrive un articolo per chiedere la libertà d’espression­e per operai e contadini, «dagli anarchici ai monarchici». Tutti. Lenin chiede che sia sanzionato, il partito esegue. I suoi compagni, però, sono solidali con lui: «a parte

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