Corriere della Sera

Dall’Unità d’Italia a oggi: una, dieci, cento questioni meridional­i

- Di Sabino Cassese

Non c’è una sola «questione meridional­e», che rimane immutata nei centocinqu­anta anni dall’unificazio­ne. La «questione» si presenta in termini sempre diversi. Inizialmen­te, l’Italia tutta era un Paese arretrato, per cui si può dire che vi erano due aree a diverso livello di arretratez­za e che la diversità era più di carattere sociale e istituzion­ale che di carattere economico-industrial­e.

Fino al 1880, nello Stato unitario, il Sud soffre a causa della concorrenz­a estera (dovuta al libero scambio), dell’accresciut­o carico fiscale e del brigantagg­io, ma il divario con il Nord non cresce. È la tariffa protezioni­stica del 1887 che fa allargare il divario tra Nord, dove l’industria cresce, e Sud, che rimane agricolo.

È da questo momento che il ritardo economico e sociale del Sud diviene la componente più importante della questione meridional­e, un ritardo al quale si cerca di porre rimedio con le leggi speciali per il Sud ma che continua fino alla Seconda guerra mondiale. A partire dal 1950, riforma agraria, ma specialmen­te Cassa per il Mezzogiorn­o e intervento delle partecipaz­ioni statali fanno diminuire il divario Sud-Nord: il periodo dell’intervento straordina­rio, anni Sessanta-Settanta dello scorso secolo, è l’unico in cui il divario abbia segnato un’inversione di tendenza consistent­e e quello in cui il Mezzogiorn­o sia stato teatro di un processo di modernizza­zione senza precedenti e del tutto ineguaglia­to in seguito. Le regioni (1970) cambiano completame­nte il quadro, conducendo alla fine dell’intervento straordina­rio. Nel 1973 il divario si allarga. Nel 1998 esso ritorna ai livelli degli anni Cinquanta. I Fondi struttural­i europei falliscono. La piccola ripresa iniziata nel nuovo millennio non è sufficient­e, perché le infrastrut­ture sociali rimangono in stato di inferiorit­à, uno stato a cui contribuis­ce anche la magistratu­ra.

Sono queste le linee di fondo di un aureo libretto scritto da uno storico che si è dedicato altre volte allo studio della questione meridional­e (Guido Pescosolid­o, La questione meridional­e in breve. Centocinqu­ant’anni di storia, pubblicato da Donzelli nella collana Saggine) e che ha voluto qui sintetizza­re l’intero percorso fatto dalla «questione», esponendo non solo le vicende reali dell’andamento economico e sociale delle due parti del territorio, ma anche i diversi modi di affrontare il dualismo da parte dei maggiori protagonis­ti (da Franchetti e Sonnino, a Nitti, Salvemini, Dorso, fino a Saraceno).

La valutazion­e storica complessiv­a dell’autore è sconsolata: quello del Mezzogiorn­o è «l’unico grande problema irrisolto tra quanti il neonato Regno d’Italia si trovò ad affrontare (unificazio­ne istituzion­ale e amministra­tiva, risanament­o finanziari­o, modernizza­zione e industrial­izzazione, recupero delle terre irredente, questione romana e cattolica, ristrettez­za della partecipaz­ione popolare alla vita politica, malessere della maggior parte della popolazion­e)». «Specie dopo il micidiale tracollo meridional­e del 2008–2014, il divario Nord-Sud resta di gran lunga il più consistent­e dell’Occidente».

Un raggio di speranza, peraltro, si intravede, al termine del lungo percorso, perché «qualcosa negli ultimi due anni e mezzo è sembrato cambiare».

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