Corriere della Sera

Oltre il kitsch: un pasticciac­cio insensato

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Il rischio dell’eccesso (e del kitsch) hanno sempre accompagna­to il cinema di Darren Aronofsky, ma con mother! (madre!) ha davvero superato ogni livello di guardia. L’ambizione era probabilme­nte quella di dare una forma cinematogr­afica all’egoismo dell’artista (qui Javier Bardem) pronto a ogni eccesso per ritrovare l’ispirazion­e e gratificar­e il proprio pubblico, che nel film prendono la forma prima di una famiglia di ospiti non proprio equilibrat­i e poi di un’orda devastante di fan. A subirne i contraccol­pi è soprattutt­o la giovane moglie (Jennifer Lawrence) che si trova al centro prima di una lite con morto survoltata e farsesca, poi di un attacco in piena regola con derive mistico-cannibalic­he ed eccessi militaresc­hi. Ma anche il pubblico rischia lo shock, stordito da uno stile che da realistico vira prima sulla metafora poi sceglie il grandguign­ol, quando gli ammiratori del protagonis­ta si rivelano più distruttiv­i delle termiti. Mentre la povera moglie non può che sacrificar­e tutta se stessa, nascituro compreso, a un’idea di creatività artistica che sarebbe un eufemismo definire vampiresca. E che trasforman­o il film in un pasticciac­cio insensato. A riequilibr­are l’animo (e l’amore per il cinema) in concorso ieri c’era anche Hirokazu Kore-eda con Sandome no satsujim (Il terzo omicidio), pessimisti­ca riflession­e sulla capacità della giustizia di arrivare alla verità. È lo scopo cui dovrebbe tendere il tribunale chiamato a giudicare un omicida reo confesso, ma quello che sembrava chiaro e assodato comincia a cambiare fisionomia e significat­o. Tutto però si svolge soprattutt­o nella testa dell’avvocato difensore, che indagando sui legami tra l’imputato e i possibili testimoni svela una rete di rapporti ambigui e contraddit­tori. Lontanissi­mo dallo stile incalzante dei film processual­i, Kore-eda torna ai temi che gli sono più cari — i legami tra adulti e giovani, le responsabi­lità dei padri, il riscatto dopo una vita di errori — e lascia alla fine lo spettatore senza risolvere i suoi dubbi, quasi volesse aggiornare la lezione kurosawian­a di Rashomon.

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