FIAMMATA D’ORGOGLIO
DAL «VULCANO» DEL 1837 ALLA BORSA LA STORIA PATRIOTTICA DI ITALGAS L’appuntamento Nasceva a Torino 180 anni fa l’azienda che ha accompagnato la crescita del Paese, mantenuto l’autonomia durante il fascismo ed è oggi il primo operatore nella distribuzione
Un’immagine e una frase raccontano bene la lunga storia di Italgas, che celebra il 12 settembre i 180 anni di attività. Nel 1840 viene descritta così la torre della nuova fabbrica di gas illuminante a Torino: «Rossastra, dalla cui cima sgorgano vortici di negro fumo, sorge di mezzo alle masse di verdi alberi nel tratto fuori di Porta Nuova». E nella relazione agli azionisti del marzo 2017, il consiglio della società tornata da poco in Borsa si concede un «salto» temporale-lessicale: «Abbiamo alle spalle tanta storia importante e allo stesso tempo siamo una “start-up” di 180 anni e quasi 4 mila persone».
Sono le parole scelte dallo storico Valerio Castronovo per aprire e chiudere il suo libro «Luce, calore, energia. 180 anni di Italgas» che verrà presentato a Torino nell’ambito del «compleanno» dell’azienda, primo operatore in Italia e terzo in Europa nella distribuzione del gas.
Nella raffigurazione «pittorica» di uno stabilimento-vulcano e nella descrizione di una corporation che si presenta con la cifra dell’innovazione, si rintraccia una continuità di fondo che per Castronovo è il «segreto» del successo del gruppo: «Una continuità e un equilibrio nella gestione della società che fin dall’inizio», quotata nel 1851, delistata nel 2003 e tornata in listino l’anno scorso, «annovera migliaia di piccoli azionisti, proprietari in media oggi di 300 titoli a testa».
«Il “battesimo” della Compagnia di Illuminazione a Gaz per la città di Torino», spiega Castronovo, «risale a fine agosto 1837 e reca le firme di banchieri lionesi e di uomini di affari torinesi». Un incontro fra capitalismi che si rinnova in diversi settori, tra affinità e rivalità, ancora in questi giorni. «Una convergenza d’interessi era allora attiva da tempo in ambito serico: i filati piemontesi venivano trasformati in tessuti in Francia». E nel gas? «Gli ambienti finanziari lionesi intendevano investire in un nuovo campo ed estendere la presenza sull’intera penisola».
Arrivano le prime concessioni per l’illuminazione pubblica, mentre inizialmente il gas domestico è un «bene di lusso» riservato alle famiglie più ricche. L’apporto di banchieri torinesi e gli incentivi dell’amministrazione civica rendono in grado la società di ampliare l’attività, dopo l’Unità, in altre regioni.
E quando Torino è ancora capitale del Regno il Credito mobiliare promuove il cambio di brand in Società italiana per il gas, Italgas. A fine secolo, dopo la «guerra commerciale» con la Francia e le gravi crisi bancarie l’azienda, passata sotto l’influenza del Credito Italiano, conosce un periodo di sviluppo, sottolinea Castronovo, in particolare «sul piano tecnologico dovuto non più solo all’apporto di tecnici d’Oltralpe, ma anche di dirigenti provenienti dai Politecnici di Torino e Milano».
Sviluppo reso possibile dalla riduzione dei costi di importazione del carbone dalla Gran Bretagna e dall’evoluzione energetica anche nelle dimore meno facoltose con la progressiva scomparsa di camini, legno, stufe. L’incipiente industria idroelettrica impiegherà tempo a «entrare nelle case» e l’output è destinato quasi solo alle industrie.
Nei primi anni Venti alla guida del gruppo arriva un primordiale «finanziere d’assalto», Rinaldo Panzarasa, che trasforma l’Italgas in una specie di holding, puntando soprattutto su chimica e farmaceutica (scelta poco gradita alla Montecatini), e caricandola di debiti. Nel ’30 è costretto a uscire e la guida passa ad Alfredo Frassati: antifasci- sta, perseguitato dal regime, costretto nel 1925 a vendere la quota di maggioranza detenuta ne «La Stampa», investe con altri imprenditori in Italgas. Mussolini (suggerito da Comit) non ostacola l’operazione anche per evitare l’ennesimo salvataggio di Stato: l’azienda resta privata e viene risanata. Frassati, dopo la Liberazione, torna al timone e per altri 10 anni ne guida l’espansione.
Nel 1961, dopo la sua scomparsa, al vertice sale Paolo Thaon de Revel, che per un decennio era stato ministro delle Finanze di Mussolini. Di vecchia famiglia piemontese, chiamato il «conte rosso» perché, di fronte alle spese del regime, avrebbe voluto inasprire le imposte sui redditi più elevati, «opera un’importante mediazione», dice Castronovo: «Il capitale di Italgas era disperso fra migliaia di piccoli azionisti, ma c’erano alcuni soci significativi. Thaon de Revel con il vecchio sindacato di blocco riesce a evitare che l’azienda finisca sotto l’influenza della Sfi, legata a Sarom quindi a Eni, ovvero dello Ior», «forziere» del Vaticano.
Il passaggio sotto l’Eni avviene comunque a partire dal 1967: Italgas verrà poi delistata nel 2003 e trasferita a Snam. Spiega Castronovo che l’azienda «conserva autonomia, è protagonista della metanizzazione nazionale e si rafforza all’estero. Il filo rosso fra il top management degli anni Novanta e l’attuale dirigenza risiede nell’acquisizione di una cultura della gestione dei servizi». Ecco la continuità «componente del successo dell’impresa», individuabile anche dopo lo scorporo da Snam per «diversità di mestieri» (gasdotti e reti cittadine) e il ritorno in Borsa nel 2016: start-up oggi come 180 anni fa, quando il vulcano-fabbrica dava inizio all’avventura imprenditoriale.
L’oppositore Già perseguitato, sotto il regime Frassati risanò l’azienda. Poi ne guidò l’espansione