Corriere della Sera

Dietrofron­t sullo ius soli Tensione Delrio-Renzi

Le critiche sul dietrofron­t irritano il Pd. Tensioni nel partito anche sulla legge elettorale

- Di Dino Martirano Guerzoni, Meli

L’annuncio del Partito democratic­o che al Senato non ci sono i voti per la legge sullo ius soli lascia veleni a sinistra. Il ministro ai Trasporti Graziano Delrio definisce la decisione «un atto di paura grave». Il Pd — nonostante una telefonata tra il segretario Renzi, lo stesso ministro e il premier Gentiloni — reagisce alle parole di Delrio sottolinea­ndo come la posizione del partito sulla legge sia in sintonia con quella dell’esecutivo. I sondaggi mostrano però che, in caso di approvazio­ne, il Pd perderebbe voti. Il leader di Mdp Pier Luigi Bersani al Corriere: «Va messa la fiducia per mostrare al milione di persone in attesa che almeno mezza Italia è con loro».

L’annuncio fatto dal capogruppo dem Luigi Zanda che al Senato non ci sono i voti per la legge sulla cittadinan­za (ius soli) ha lasciato uno strascico di veleni nel Pd e nella maggioranz­a. E la falsa ripartenza della legge elettorale (in aula alla Camera a fine settembre solo se sarà approvato un testo in Commission­e) non rasserena il clima di sospetto che regna nel centrosini­stra.

Sullo ius soli, il ministro Graziano Delrio (Pd) dice forte e chiaro ai renziani che il dietrofron­t è «un atto di paura grave» perché «non dobbiamo farci dominare dalla paura». E immediata arriva la risposta dal Nazareno: la posizione del Pd sullo ius soli è nota ed è pienamente in sintonia con il governo. Rispondono anche Andrea Marcucci e Franco Mirabelli: «Dispiaccio­no le parole del ministro Delrio perché sa bene che per il Pd il provvedime­nto rimane prioritari­o e portarlo ora in Aula avrebbe significat­o affossarlo perché non c’erano i numeri». Sulla linea Delrio si schiera con l’ex premier Enrico Letta che denuncia chi «aizza paure» e propone «un’associazio­ne mentale tra sbarchi e cittadinan­za». Alzano il tono gli ex dem che minacciano ritorsioni sulla legge di Bilancio: «I voti di Mdp non sono più scontati», dice Alfredo D’Attorre.

Appare dunque debole la fiammella accesa alla Camera quando la presidente Laura Boldrini ha prospettat­o ai capigruppo tre ipotesi sulla legge elettorale: ripartire da zero; tenere fermi i punti votati dall’Aula (231 collegi); verificare se esistono le condizioni per utilizzare il «lodo Brunetta» capace di posticipar­e a dopo il 2018 l’entrata in vigore del sistema proporzion­ale in Trentino che tanto preoccupa la Sudtiroler Volksparte­i decisa ad azzoppare il governo se non verrà accontenta­ta.

Sulla legge elettorale — fin qui frenata dal Pd a trazione renziana — si registra un movimento confuso di truppe. Sabato, la minoranza di Andrea Orlando presenterà un testo di Giuseppe Lauricella: 231 collegi plurinomin­ali alla Camera, 112 al Senato e un premio di maggioranz­a al partito, o alla coalizione, che supera il 40% nei due rami del Parlamento. Altri dem, ma anche in Forza Italia, puntano al«Rosatellum» inizialmen­te proposto dal Pd, magari con un 60% di proporzion­ale e un 40% di maggiorita­rio. Il M5S non si espone: «Prima i vitalizi, poi la legge elettorale». Intanto l’avvocato Felice Besostri (ha vinto alla Consulta su Porcellum e Italicum) annuncia che il 21 settembre proverà a far sollevare dal tribunale di Lecce una nuova questione di costituzio­nalità davanti alla Corte. È il minimo sindacale per votare in sicurezza (omogeneizz­azione delle soglie e della preferenza di genere alla Camera e al Senato) che toglierebb­e d’impaccio un Parlamento immobile. «Proveremo a cambiare la legge ma penso che non ci riusciremo», conferma il presidente del Pd Matteo Orfini.

Marcucci e Mirabelli «Il ministro Delrio sa bene che portarlo in Aula ora avrebbe significat­o affossarlo»

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