Dietrofront sullo ius soli Tensione Delrio-Renzi
Le critiche sul dietrofront irritano il Pd. Tensioni nel partito anche sulla legge elettorale
L’annuncio del Partito democratico che al Senato non ci sono i voti per la legge sullo ius soli lascia veleni a sinistra. Il ministro ai Trasporti Graziano Delrio definisce la decisione «un atto di paura grave». Il Pd — nonostante una telefonata tra il segretario Renzi, lo stesso ministro e il premier Gentiloni — reagisce alle parole di Delrio sottolineando come la posizione del partito sulla legge sia in sintonia con quella dell’esecutivo. I sondaggi mostrano però che, in caso di approvazione, il Pd perderebbe voti. Il leader di Mdp Pier Luigi Bersani al Corriere: «Va messa la fiducia per mostrare al milione di persone in attesa che almeno mezza Italia è con loro».
L’annuncio fatto dal capogruppo dem Luigi Zanda che al Senato non ci sono i voti per la legge sulla cittadinanza (ius soli) ha lasciato uno strascico di veleni nel Pd e nella maggioranza. E la falsa ripartenza della legge elettorale (in aula alla Camera a fine settembre solo se sarà approvato un testo in Commissione) non rasserena il clima di sospetto che regna nel centrosinistra.
Sullo ius soli, il ministro Graziano Delrio (Pd) dice forte e chiaro ai renziani che il dietrofront è «un atto di paura grave» perché «non dobbiamo farci dominare dalla paura». E immediata arriva la risposta dal Nazareno: la posizione del Pd sullo ius soli è nota ed è pienamente in sintonia con il governo. Rispondono anche Andrea Marcucci e Franco Mirabelli: «Dispiacciono le parole del ministro Delrio perché sa bene che per il Pd il provvedimento rimane prioritario e portarlo ora in Aula avrebbe significato affossarlo perché non c’erano i numeri». Sulla linea Delrio si schiera con l’ex premier Enrico Letta che denuncia chi «aizza paure» e propone «un’associazione mentale tra sbarchi e cittadinanza». Alzano il tono gli ex dem che minacciano ritorsioni sulla legge di Bilancio: «I voti di Mdp non sono più scontati», dice Alfredo D’Attorre.
Appare dunque debole la fiammella accesa alla Camera quando la presidente Laura Boldrini ha prospettato ai capigruppo tre ipotesi sulla legge elettorale: ripartire da zero; tenere fermi i punti votati dall’Aula (231 collegi); verificare se esistono le condizioni per utilizzare il «lodo Brunetta» capace di posticipare a dopo il 2018 l’entrata in vigore del sistema proporzionale in Trentino che tanto preoccupa la Sudtiroler Volkspartei decisa ad azzoppare il governo se non verrà accontentata.
Sulla legge elettorale — fin qui frenata dal Pd a trazione renziana — si registra un movimento confuso di truppe. Sabato, la minoranza di Andrea Orlando presenterà un testo di Giuseppe Lauricella: 231 collegi plurinominali alla Camera, 112 al Senato e un premio di maggioranza al partito, o alla coalizione, che supera il 40% nei due rami del Parlamento. Altri dem, ma anche in Forza Italia, puntano al«Rosatellum» inizialmente proposto dal Pd, magari con un 60% di proporzionale e un 40% di maggioritario. Il M5S non si espone: «Prima i vitalizi, poi la legge elettorale». Intanto l’avvocato Felice Besostri (ha vinto alla Consulta su Porcellum e Italicum) annuncia che il 21 settembre proverà a far sollevare dal tribunale di Lecce una nuova questione di costituzionalità davanti alla Corte. È il minimo sindacale per votare in sicurezza (omogeneizzazione delle soglie e della preferenza di genere alla Camera e al Senato) che toglierebbe d’impaccio un Parlamento immobile. «Proveremo a cambiare la legge ma penso che non ci riusciremo», conferma il presidente del Pd Matteo Orfini.
Marcucci e Mirabelli «Il ministro Delrio sa bene che portarlo in Aula ora avrebbe significato affossarlo»