Corriere della Sera

QUELLE RIFORME CHE COMPLICANO I RAPPORTI TRA GOVERNO E PD

- Di Massimo Franco

singolare vedere quante leggi-bandiera il Pd sta consumando in queste settimane; come ha costretto il governo di Paolo Gentiloni a fare zigzag tra ius soli, reato di propaganda fascista e vitalizi dei parlamenta­ri, per evitare di essere intrappola­to in questioni di fiducia che farebbero traballare la maggioranz­a. E come invece sia stata schivata una riforma necessaria come quella del sistema elettorale, con un gioco di sponda oggettivo col Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega. Il motivo è poco pubblicizz­ato, perché inconfessa­bile: nessun leader di partito vuole che dal Parlamento esca una legge tale da far saltare i capilista bloccati.

Una modifica del genere intacchere­bbe in profondità il loro potere. La manciata di candidatur­e sicure indicate dalle segreterie, rappresent­a il modo più facile per fare eleggere parlamenta­ri fedeli ai vertici; e dunque per avere una massa di voti da far pesare nelle trattative di governo dopo le Politiche del 2018. Il timore è che qualunque testo possa essere cambiato dalle Camere con modifiche impreviste e indigeste. Dunque, si preferisce parlare d’altro, presentand­o come prioritari provvedime­nti che magari finiranno nel nulla. Dire che è necessario l’accordo tra tutte le forze che hanno tentato la trattativa prima dell’estate, significa lasciare le cose come stanno.

Il problema è che i sistemi emersi dalle sentenze della Corte costituzio­nale non permettono tecnicamen­te di andare a votare. E dunque, sarà difficile evitare che comunque qualcosa venga fatto. «La legge è necessaria», ribadisce Anna Finocchiar­o, ministra per i Rapporti con il Parlamento. «Abbiamo due monconi che hanno ispirazion­i diverse e sono diverse nei contenuti». Ieri si è saputo che una nuova bozza potrebbe arrivare nell’aula della Camera entro il mese di settembre.

Il voto e i tempi Si riparla di riforma elettorale su pressione della Lega ma tutto fa pensare che ci si muoverà solo dopo le elezioni siciliane

La Lega preme perché vede nell’allungamen­to dei tempi anche quello della legislatur­a: mentre vorrebbe andare alle urne al più presto. «O si fa una legge o si certifica che non ci sono le condizioni», spiega il capogruppo Massimilia­no Fedriga. «Ma non si osi utilizzare questa scusa per ritardare le elezioni». La Lega vorrebbe chiudere la partita prima del voto siciliano, nel timore che sulla scia di quel risultato ritorni l’idea delle coalizioni, cara a FI e insidiosa per le ambizioni del segretario, Matteo Salvini.

L’ipotesi è suggestiva ma improbabil­e. Inserire nel calendario di settembre una delle riforme più divisive significhe­rebbe mettere a rischio la manovra di bilancio fissata a metà ottobre. Al Senato i numeri sono precari. Articolo 1-Mdp garantisce solo un appoggio condiziona­to. E il rinvio dello ius soli crea un solco tra il ministro Graziano Delrio, che parla di «atto di paura grave», e il Pd che risponde gelidament­e. Palazzo Chigi tutto vuole, tranne che aggiungere problemi a quelli già esistenti. Per questo, è più verosimile che la vera partita cominci dopo il voto siciliano del 5 novembre.

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